
Franco Battiato approda a Prato lunedì 18 luglio con “Up Patriots to arms“, per un concerto che vede il cantautore catanese sessantaseienne travolgere la folla, affiancato dagli ottimi: Angelo Privitera alla tastiere e computer, Carlo Guaitoli al pianoforte, Davide Ferrario alla chitarra, Lorenzo Poli al basso, Giordano Colombo alla batteria, insieme al Nuovo Quartetto Italiano, ovvero
Alessandro Simoncini e Luigi Mazza ai violini, Demetrio Comuzzi alla viola e Luca Simoncini al violoncello.
Nato a Jonia (Catania), dopo i primi anni ’70 dedicati alla musica elettronica e sperimentale (Fetus, Pollution…), Battiato compie le sue prime ascensioni sonore con album più sostanziosi come Sulle corde di Aries, Clic eMademoiselle le gladiator. La sua fase di ricerca e di sperimentazione più estrema è della seconda metà degli anni Settanta, con audaci dischi comeL’Egitto prima delle sabbie. Album quali L’era del cinghiale bianco, Patriots, La voce del padrone e L’arca di Noè lo proiettano verso un successo da rockstar, con vendite da capogiro. Quasi come risposta a una tale sfacciata fortuna terrena, Battiato si dedica contemporaneamente ad una forte e viva ricerca spirituale, attraverso i pensieri di Georges Ivanovič Gurdjieff e degli antichi saggi della cultura sufista. Inizia anche a fare l’editore di libri esoterici, con la sua piccola casa editrice L’Ottava. Con la prima opera lirica Genesi, nel 1987 inaugura una doppia carriera di compositore serio, dedito ai linguaggi musicali più colti.
La serata accoglie il “maestro” dissipando le nuvole pomeridiane e sotto un magico manto stellato ha inizio l’esibizione a ritroso nel tempo, lungo un’iniziazione che affonda le sue radici ben trenta anni addietro, Tra sesso e castità di astinenze e pentimenti, libertà non celate de Gli uccelli, tra la sublimità de La canzone dei vecchi amanti ed il disincanto così attuale inPovera Patria.
Il viaggio prosegue su «un vento a trenta gradi sotto zero» nella liricità diProspettiva Nevskij, tra Le aquile e l’immancabile La Cura, i malinconici Treni di Tozeur, mentre scrosciano gli applausi per La stagione dell’amore e l’atmosfera si scalda nella misticità tutta simbolica de L’era del cinghiale bianco. Ora gli animi sono pronti, è giunto il momento: sulle prime note diVoglio vederti danzare il pubblico surriscaldato balza irresistibilmente in piedi per calamitarsi ai piedi dell’artista che li accoglie a braccia aperte, rincuorando gli addetti alla sicurezza, mentre la danza si fa trance collettiva. Nel caldo clima inevitabile un tuffo in Summer On A Solitary Beach per quindi terminare attingendo dal medesimo album “La voce del padrone” (1981) con la canzone emblema di antiche citazione d’autore, ovvero Cuccurucucù.
Le ovazioni si innalzano dalla platea, e Battiato non si fa attendere, con un’ode in onore del novantatreesimo compleanno di Nelson Mandela, ovveroL’addio, per continuare con il celebre aforisma «Vivere non è difficile potendo poi rinascere» de L’animale ed approdare allo spirituale E ti vengo a cercare, tratto dal disco “Fisiognomica” (1988) che gli permise nel 1989 di diventare il primo cantante di musica leggera ad esibirsi in Vaticano. Nuovi saluti, nuova uscita, nuovo caloroso richiamo del pubblico, nuovo ingresso sul palco: il Maestro si concede ancora una volta con il bis Era de maggio, sui versi di una poesia del 1885 di Salvatore Di Giacomo e messa in musica da Mario Pasquale Costa, un inno all’amore e alla canzone napoletana. La serata si appresta a giungere alla conclusione, quindi il cantautore afferma:«Patti chiari e amicizia lunga: quello che arriva è l’ultimo!». E l’ultimo sia, come vuole la vera anima catanese: con Centro di gravità permanente l’artista si commiata dai fan, tra doni e applausi.
Ed il concerto si chiude carico di illuminazioni catartiche.