
Nella pietrificata cornice del Teatro romano di Fiesole, il 22 luglio è andato in scena lo spettacolo di Marco Travaglio, “Anestesia totale”. L’anestesia alla quale allude il titolo ovviamente è quella dell’Italia, che secondo la penna torinese appare come il succitato teatro fiesolano, ossia, pietrificata.
Di fronte al vasto e variegato pubblico che affolla la cavea in tutti i suoi spazi, Travaglio che rivela una sorprendente vis comica, apre lo spettacolo con la battuta «Finalmente è finito, lui non c’è più».
Il richiamo è rivolto a Berlusconi, meglio ancora al dopo Berlusconi e agli strascichi “radioattivi” prodotti negli ultimi 17 anni di “anestesia totale” dopo la scesa in campo del Cavaliere. Ci saranno scorie, così le chiama il giornalista, da smaltire o da riciclare, come i politici, ma anche come l’informazione, che nell’ultimo ventennio ha subito una radicale metamorfosi, con la manipolazione delle notizie da parte dei media e la completa scomparsa dei fatti.
Travaglio s’interroga su come il nostro paese abbia permesso un degrado simile, e si chiede se il prossimo Governo, di qualunque colore o appartenenza, cercherà di rimediare allo sfacelo dell’informazione, o cosa più plausibile, si approfitterà di un sistema creato “ad arte”.
In una scenografia minimalista, composta da un’edicola, una panchina di legno, un leggio, suoni distorti, liquefatti, rumori di carta strappata, risonanze opprimenti e note di viola, assistiamo ad una serie di “lezioni” sulla libertà giornalistica.
La verve di Travaglio ci spiega il sistema utilizzato dai media per far “scomparire” i fatti, le notizie, usando tecniche di comunicazione come la “scomparsa del metro di giudizio”, per via della quale i fatti più rilevanti vengono affossati da altri meno importanti. Oppure la “scomparsa della verità”, sintetizzata dalla frase di Goebbels, secondo il quale ripetendo dieci volte una bugia, essa diventa vera: un caso giornalistico su tutti è quello delle armi di distruzione di massa attribuite all’Iraq di Saddam Hussein, poi rivelatesi inesistenti. Sempre in tema politico viene affrontata con humour dal giornalista la “scomparsa della logica”, la pratica usata da molti politici di non smentire più le accuse dell’avversario, ma di limitarsi a contro-accusare assegnando a suon di slogan anche ad altri le proprio colpe. E poi ancora, la modifica genetica della notizia, la par condicio tra verità e menzogna, neologismi ad personam, i titoli di apertura del TG1 di Minzolini, fino a giungere quasi al surreale con la lettura di alcune poesie dell’ex ministro della cultura Bondi, che definisce la mamma di Berlusconi «madre di Dio».
Al fianco del vicedirettore de Il Fatto Quotidiano, troviamo Isabella Ferrari, statuaria, che si dà il cambio con il giornalista piemontese, in una staffetta tra passato e presente. L’attrice dà voce a “pezzi” profetici di Indro Montanelli, che attraverso delle registrazioni sonore, con il suo piglio di toscano indomito, sembra apparire sulla scena come terzo personaggio tangibile del recital. Le parole di Montanelli, che portò il giovane Travaglio con sé nella redazione del suo nuovo quotidiano La Voce, fondato proprio per non “diventare il megafono di qualcuno” all’indomani della fuoriuscita da Il Giornale, emergono come pietre levigate dal tempo e ancora vitali di fresca pronuncia, tanto da scuotere gli spiriti degli spettatori traduttori di fragorosi applausi.
Lo spettacolo continua con questo passaggio di testimone da un protagonista all’altro, intramezzato dalle musiche e dai “rumori” dal vivo di Valentino Corvino, alla viola elettronica e tastiera.
Nonostante la staticità e la ripetitività della scena, lo spettacolo riesce a coinvolgere, divertire e appassionare gli spettatori. Travaglio è eccezionale nell’esporre fatti che fanno accapponare la pelle, ma grazie alla sua tavolozza di colori che contiene satira finissima, ironia e un attento e ammirabile uso del lessico, riesce a far esplodere il suo “cosciente” pubblico in lunghi applausi e risate.