
[rating=3] Quello che non ho oltre ad essere una canzone di De Andrè, è ora il titolo del nuovo spettacolo di Neri Marcorè che sta portando in tour nei maggiori teatri della penisola. Lo spettacolo arrivato anche a Bologna il 26 e il 27 gennaio lascia soddisfatto il pubblico del Teatro delle Celebrazioni.
Quello che non ho è uno spettacolo di musica e parola, di leggera ironia e di verità non sempre note o spesso poco narrate. Lo spettacolo si costruisce su un percorso giornalistico ed intellettuale, tra il Pier Paolo Pasolini degli Scritti Corsari e della Rabbia e il Fabrizio De Andrè delle sue poesie musicali, entrambi profeti ai loro tempi e oggi quanto mai attuali. È questo il punto di contatto, la nota che accomuna i due artisti-intellettuali del secolo scorso e Neri Marcorè sembra averlo capito bene e tenta sulla scena di costruire un filo a doppia mandata che colleghi i due intellettuali alla nostra attualità. Sono le parole vibranti, dette e musicate che propongono una possibile interpretazione e spiegazione dell’oggi.
Cosa possiamo trovare in Quello che non ho? Un Neri Marcorè che pretende di aprirsi alla scena musicale? Un Neri Marcorè che vuole calarsi nei panni di un attore-narratore, come un Paolini o un Celestini? Assolutamente no, ciò lasciamolo fare ad altri.
È un filone questo di teatro e musica che l’attore sta sperimentando ormai da diverse produzioni. Ma questo spettacolo non ha la pretesa né di celebrare, né di raccontare due vissuti diversi, ma piuttosto quella di riflettere sul presente attraverso notizie di cronaca, politica e società. Ha la forma di un varietà severo e disincantato questa produzione del Teatro dell’Archivolto, che piace e può piacere ad un pubblico vasto ed eterogeneo, per la semplicità e la famigliarità che lo caratterizza.
Quello che non ho ambientato in una scena leggera, costruita da una scenografia stropicciata come se fosse di carta velina colorata e dei tubi al neon che scendono dall’alto, è giocato su l’interazione, non del tutto efficace a volte, tra il protagonista e i tre musicisti-attori che lo accompagnano, che si divincolano tra canti a cappella, intersezioni delicate tra le voci, piccole scenette dialogate e apprezzabili virtuosismi strumentali.
La recitazione propriamente cinematografica, troppo statica e blanda dell’attore, non aiutano tanto le sue narrazioni, che se non fossero accompagnate dalla musica correrebbero il rischio di trasformarsi in pure notizie giornalistiche, che seppur di estremo interesse, è ciò che uno spettacolo di questo tipo non deve diventare. La regia forse troppo invisibile, da sembrare assente, quando c’è ed appare costruisce delle trovate simpatiche e piacevoli.
La drammaturgia che ha come riferimento due capisaldi della cultura del bel paese, è ben costruita, ma leggermente incompleta. Un incompletezza, si capisce, dovuta ad un complesso materiale letterario scelto: quello di un Pasolini spesso criptico e di un De Andrè particolarmente metaforico.
Rivisto ed aggiustato nei suoi punti di debolezza questo sarebbe uno spettacolo bello e necessario, soprattutto di questi “tempi bui”, in cui raccontare le verità di una società in decadenza attraverso la magia del teatro sarebbe assolutamente efficace e produttivo, ed oltre ad accontentare un pubblico medio metterebbe d’accordo pure i “palati più sensibili”.
Neri Marcorè accompagnato in scena da tre valenti e giovani cantanti-musicisti (Giua, Pietro Guarracino e Vieri Sturlini) prosegue il suo tour raggiungendo i maggiori teatri d’Italia.














