Straordinaria Bohème firmata Zeffirelli alla Scala

[rating=5] Con la storica regia di Franco Zeffirelli chiude l’agosto scaligero l’opera più rappresentata al mondo, La Bohème di Giacomo Puccini. Sebbene la sala non abbia registrato il pieno assoluto, come del resto durante tutti gli spettacoli estivi del Piermarini, lo spettacolo ha regalato grandi emozioni e una qualità sorprendente.

Opera universale e intramontabile, La Bohème è la storia struggente di un piccolo gruppo di amici nella Parigi “bohémienne” della prima metà dell’800. Giovani artisti, poeti e professori squattrinati e di poche esigenze, ma capaci di slanciarsi con passione oltre i confini mondani, con grandi idee e sentimenti.

Lo squarcio disinvolto di vita quotidiana dentro una classe sociale che nelle metropoli non è mai tramontata e, anzi, trova oggigiorno, ahinoi, nuova proliferazione.

Il cartellone di quest’anno della Scala ha così ospitato ben tre amori travagliati, Calaf e Turandot, Mario e Tosca, Rodolfo e Mimì, in tre opere pucciniane ambientate in tre capitali, Pechino, Roma e Parigi. Un tris impareggiabile, considerando che la biografia di Puccini ci racconta sia della sua tormentata vita coniugale sia del suo interesse per l’estero, sebbene non fosse un gran viaggiatore. Tre classi sociali, nobiltà, borghesia e proletariato, che Puccini, a dire il vero, conosceva solo nella versione lucchese, ma che le sue note riescono a raccontare con vibrante espressività.

La Bohème_Teatro alla Scala

Il libretto di Giacosa e Illica è tratto da una raccolta di novelle del francese Henri Murger, “Scènes de la vie de bohème”, i cui personaggi ricorrono nelle loro faccende quotidiane e nelle rispettive piccole imprese. Nessun eroismo, apparentemente, e tanto realismo. I versi, seppure deliziosi e di alta poesia, rispettano la classe sociale che li deve pronunciare e aderiscono con raffinatezza ai diversi registri e alle diverse situazioni.

La scrittura del libretto richiese diverso tempo, fin dal 1893, mentre Puccini compose la musica della Bohème in pochi mesi nel 1895, in lizza con l’omonima opera di Ruggero Leoncavallo, ma meno fortunata.

Nel crescendo della sua popolarità (aveva appena composto Manon Lescaut e di lì a poco avrebbe scritto Tosca) Giacomo Puccini costruisce un capolavoro che rinnova la storia della musica. Bohème è un insieme di comicità e tragedia, di melodramma, opera seria e opera buffa: in quattro quadri, legati da tenuissimi leitmotiv, viene evocato con maestria il colore della vita parigina nel Quartier Latin, povera ma spensierata, e si imbastisce una sovrapposizione di tensioni liriche, giocose e tragiche che scoppiano e si assopiscono di continuo, fino al mestissimo finale.

La trama è assai lineare.

Il primo quadro si apre alla vigilia di Natale con i due giovani coinquilini Rodolfo, poeta, e Marcello, pittore, nella desolante e malandata soffitta in cui vivono. Mentre i due ironizzano sulla propria condizione economica, tentando di accendere un fuoco con quel che capita, arrivano gli altri due amici della compagnia: Colline, filosofo, e Schaunard, musicista. Quest’ultimo porta ulteriore allegria con del cibo e del vino frutto di un’inaspettata entrata economica.

Nel vivo della festa i quattro sono interrotti da Benoit, il padrone di casa che pretende l’affitto. In una scena buffa da commedia degli equivoci il povero Benoit è cacciato malamente di casa, ancora una volta senza aver ricevuto un soldo. La compagnia risolve di recarsi a festeggiare al caffè Momus, Rodolfo però si attarda in casa per terminare un lavoro.

Mentre gli amici scendono le scale entra nella soffitta la bella vicina Mimì, infreddolita, che Rodolfo non aveva ancora avuto modo di conoscere. Mimì chiede di poter accendere la sua candela, spenta inavvertitamente, e tra i due è subito amore.

Rodolfo coglie l’occasione e spegne anche il suo lume, a Mimì casca la chiave di casa. Col pretesto di cercare a tastoni la chiave nel buio i due, sguardo dopo sguardo, carezza dopo carezza, finiscono per dichiararsi amore e corrono a raggiungere l’allegra brigata da Momus.

Secondo quadro, caffè Momus. Nel chiasso della vigilia, tra torme di ragazzini, uomini e donne di ogni estrazione ed età, venditori e strilloni, i cinque riescono a trovare di che mangiare e bere. Rodolfo regala una cuffietta a Mimì.

Con grande clamore fa il suo ingresso Musetta, giovane avvenente che vive di fortuna accompagnando vecchi ricchi. Tutto il caffè Momus è ai suoi piedi, con grande imbarazzo del suo attuale protettore Alcindoro. Di Musetta è da tempo innamorato Marcello, più volte ricambiato e poi lasciato dalla ragazza: la bella Musetta, accortasi del pittore, fa di tutto per attirare rumorosamente la sua attenzione.

La Bohème_Teatro alla Scala

Come se non bastasse, al colmo della confusione, attraversa la scena una parata militare. I due si riconciliano proprio mentre i camerieri pretendono di saldare il dovuto della compagnia. Musetta, nel giubilo generale, fa mettere tutto in conto allo schernito Alcindoro, salvando così gli squattrinati amici.

Terzo quadro, qualche tempo dopo, alle porte della città. Nel rigore invernale Mimì cerca Rodolfo presso una locanda nella quale hanno trovato sistemazione Marcello e Musetta. Le due coppie non sono in grado di vivere serenamente e la disastrata situazione economica dei quattro causa continui litigi. Rodolfo confida a Marcello che Mimì è gravemente malata e che la vita con lui nella soffitta è per lei una condanna a morte, per questo deve lasciarla, sebbene egli non voglia e, anzi, ne sia geloso. Anche Marcello, sebbene lo neghi, è geloso della sua Musetta, invero ben più libertina di Mimì.

Rodolfo si riconcilia con l’amata Mimì, colpita da una grave tosse, che ha sentito le confidenze tra i due amici e concorda con l’amato di aspettare la primavera per lasciarlo. Musetta invece abbandona Marcello, ma l’equilibrio non è certamente raggiunto.

Quarto quadro, ancora nella soffitta. Si riuniscono gli amici dell’inizio e ancora una volta inscenano farse e giochi per scherzare a vicenda sulle rispettive disgrazie, mettendo il locale a soqquadro. Ora però ad interromperli non è Benoit, ma Musetta, che accorre disperata annunciando di aver visto Mimì in fin di vita per la strada. Le due fanciulle avevano lasciato i giovani amanti per accompagnare ricchi signorotti e si erano allontanate dal gruppo.

Di lì a poco entra Mimì, senza più anima in corpo. Gli amici, gelati, fanno quello che possono, riordinano in fretta la stanza e adagiano l’amica su un vecchio materasso, riscaldandola con una logora coperta e accendendo il fuoco. Tutto ciò non basta, ma i disperati non hanno nulla con cui alleviarle la sofferenza. Musetta porge i suoi orecchini a Marcello, perché vada a cercare un dottore e a scambiarli con qualche medicinale e va essa stessa ad acquistare un manicotto scaldamani. Colline contribuisce mettendo in vendita il suo cappotto. Schaunard resta in aiuto, ma in disparte.

Mimì, senza più voce, rievoca con Rodolfo il loro primo incontro e di come si erano imbrogliati a vicenda con l’equivoco della candela e della chiave. Rodolfo ridà all’amata la cuffietta che le aveva regalato alla vigilia e che lei gli aveva riconsegnato prima di andarsene, ricordando i bei momenti trascorsi insieme.

Tornano gli amici con quel che sono riusciti a comprare, Rodolfo li accoglie. Mimì, tra il sonno e la veglia, riceve il manicotto, che Musetta le fa credere da parte di Rodolfo, e si addormenta. Il medico deve ancora arrivare. Musetta prega per l’amica. Mentre gli amici sono in disparte Schaunard, prendendole la mano, si accorge che Mimì è spirata nel sonno e, nel pieno dello sconforto, lo confida a Marcello. I due amici non sanno trattenere il turbamento in volto: Rodolfo se ne avvede e non tarda a capire, abbracciandola e gridando il suo nome, che l’amata Mimì è morta.

Mimì, la Bohème, è una tempesta estiva, una farfalla, che apre e chiude l’opera senza che il suo passaggio muti lo stato di cose, seppur travolgendo i personaggi con il suo candore, che non può non sconvolgere la tranquillità degli animi. Il suo destino, del resto, era segnato sin dalle prime battute, accolta da Rodolfo con la celebre aria Che gelida manina, affettuosa e romantica, ma irrimediabilmente premonitrice.

Così, rompendo in ogni aspetto le unità aristoteliche e fondando un nuovo criterio di simmetrie e armonie, Puccini reinventa la catarsi tragica. Lo spettatore di Bohème è guidato nel vivo della miseria, della gioia, dell’amore e della sofferenza umana, senza esagerazioni idealistiche e con tutto il peso della dura realtà. L’ostacolo alla realizzazione dei propri obiettivi è l’ambiente sociale e naturale.

Lo spartito accompagna le emozioni dell’ascoltatore, non si limita a sottolineare e dipingere le vicende, e così, ad esempio, l’unisono dei bassi nel finale, che ci dice della morte di Mimì, ci corrode, perché a noi, estranei, è dato sapere ciò che Rodolfo ancora non sa e che noi scopriamo prima di ogni personaggio, grazie alla musica.

Impossibile non commuoversi. Bohème è una di quelle opere che lascia il pubblico sconvolto, incapace di reagire con prontezza alla chiusura del sipario e che ha bisogno di qualche momento prima di ricevere il bagno di applausi che merita.

La Bohème_Teatro alla Scala

L’allestimento in scena alla Scala è quello classico, memorabile e celebre in tutto il mondo di Zeffirelli, tradizionalissimo ed impeccabile. L’alternanza di scene trionfali, con tanto di cavalli in scena, e intime come quelle nella soffitta fatiscente, rende la Bohème di Zeffirelli un capolavoro commuovente. La soffitta, il caffè Momus, Parigi e tutti i personaggi sono rappresentati con cura e dovizia di particolari, nulla è lasciato al caso, nemmeno nelle scene di grande confusione, e la costruita e sofisticata patina soffusa di trascuratezza che aleggia su tutti i quattro quadri è una vera firma da maestro.

A cimentarsi in buca d’orchestra e sul palco gli eccezionali musicisti e coristi della Orquesta e del Coro Nacional Juvenil Simon Bolivar. Un’orchestra giovane e dinamica, capacissima e di notevole livello, frutto di un investimento su larga scala che il Venezuela ormai da anni ha fatto in tutto il Paese, diffondendo la cultura musicale in ogni villaggio e in ogni scuola e creando una vivacissima generazione di artisti.

È proprio in questi mesi che il Teatro alla Scala sta ospitando, oltre a diverse altre orchestre internazionali, le formazioni di El Sistema, il progetto di Stato venezuelano ideato dal maestro Josè Antonio Abreu dedicato ai giovani: Coro Manos Blancas, Sinfonica Nacional Infantil de Venezuela, Sinfonica Juvenil Teresa Carreno, Sinfonica Juvenil de Caracas, Orquesta El Sistema Europa, Orquesta Nacional Juvenil Simon Bolivar, Coro Nacional Juvenil Simon Bolivar.

La presenza alla Scala dei giovani musicisti venezuelani non è un caso. Fu il maestro Abbado, prima di lasciarci, ad aver preteso che El Sistema giungesse in Italia, e che lui aveva già diretto all’estero: il sovrintendente Pereira ne ha voluto omaggiare la memoria assecondando questo suo ultimo desiderio.

Gustavo Dudamel, direttore della Orchestra Nazionale del Venezuela, ha diretto con la sua ormai nota energia: la sua interpretazione è stata quasi fragorosa, ma capace di rispettare le frasi di lirismo e intimità. Sempre impaziente di iniziare, senza attendere il perfetto silenzio di sala, come invece si usa alla Scala.

Ottime anche le voci bianche del Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala, in un riuscitissimo esperimento di collaborazione internazionale.

Bravissimi tutti gli elementi del cast. Bene nei rispettivi brevissimi interventi Andrés Sulbaran, il mercante di giocattoli Parpignol, Alejandro Gil, sergente dei doganieri, Gustavo Castillo, doganiere, Cristo Vassilaco, venditore. Bravo Matteo Peirone, basso, nel ruolo del vecchio e ricco Alcindoro e bravo Davide Pelissero, basso, nei panni del padrone di casa Benoit. Entrambi ottimi cantanti e attori di buona verve.

Nel personaggio di Colline, celebre per la romanza Vecchia zimarra, il famoso basso Carlo Colombara, artista sempre più alla ribalta. Nel ruolo dell’eccentrico Schaunard il baritono Mattia Olivieri, sfavillante e brillante, sia come cantante che come attore. Perfettamente a suo agio nel suo ruolo semiserio.

Bravo Gabriele Viviani, Marcello, che avevamo già lodato come Enrico nella Lucia di Lammermoor per la sua espressività carica di emozioni. Un poco incerta Angel Blue, Musetta. Voce debole sebbene molto espressiva, attrice discreta ma dalla dizione zoppicante. Nel numero che la rende celebre, Quando me n’vo, non si è particolarmente distinta.

Lunghi e scroscianti applausi per la coppia protagonista: Ramón Vargas, tenore, un ottimo Rodolfo commovente, tenero, intenso, in grado di comunicare ogni sentimento con voce sempre piena e intonata, e Ailyn Pérez, Mimì, una soprano di primissima qualità, fenomenale e straordinaria, a dire il vero imprecisa nella dizione (tipico vizio dei cantanti USA), ma impareggiabile per timbro ed espressività. I protagonisti della prima del 19 agosto sono stati invece il sempre più gettonato Vittorio Grigolo e la brava Maria Agresta, che non abbiamo però potuto ascoltare.

È con questa fantastica Bohème che la Scala conclude la stagione estiva, svolta in occasione di Expo, e si candida ad inaugurare quella autunnale, che ci auguriamo meno traballante.

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