
“All’improvviso mi sento colpire da qualcosa molto più possente di me e penso: ma sto morendo adesso? Il cancello mi fa girare su me stesso, mi ricade nuovamente sopra, mi lascia spalle a terra. Il datore di lavoro, giunto sul luogo dell’incidente, vedendomi con un cancello addosso mi dice: Giammarco, ma tu cosa ci fai ancora qui a quest’ora?”
Il quadro generale della precaria sicurezza sul lavoro in Italia: Giorni rubati è un’opera che lo denuncia con levità insondabile. Gli straordinari malpagati, i ritmi forsennati a cui deve sottostare l’operaio, l’omertà dei colleghi – che uccide. Quella sera, alle 20.30 circa, dopo 11 ore lavorative, a Giammarco Mereu viene ordinato di chiudere il cancello, chiuderlo bene, per non lasciare spazi vuoti. Un cancello di 2 metri di altezza per 6. Che gli precipita addosso.
“Ho lavorato anche sopra a una gru, col vento superiore a 25 nodi, e non mi sono mai fatto niente. E guarda caso poi, vado a lavorare a terra e mi ferisco. Questo è il paradosso della mia vita.” Una vertebra spezzata, una lussazione di 15 mm, il midollo spinale tagliato di netto. Non si cammina più.
Da operaio ad attore in sedia a rotelle, Giammarco gira oggi l’Italia con uno spettacolo nudo, ironico, crudo e sarcastico, che si muove con serena determinazione a indagare i volti e le voci di chi diviene complice di quella che si può definire una morte grigia. Anche con le maldicenze, l’ipocrisia, le falsità che, in queste circostanze, rischiano di trasformarci in pigri, paurosi, insicuri individui. In definitiva pericolosi.
Il testo, che rigetta ogni vittimismo, è dello stesso Mereu, e inizia con il medico che, con simpatico accento napoletano, informa di un grave errore sanitario ai danni di Giammarco. Beffa nella tragedia. Svuotato poi dell’impalcatura che nella prima scena rivela il suo corpo solo dal petto in sù, l’interprete svela la sua parziale immobilità e, disteso su un lettino, si veste con gesti ormai quotidiani, nuovo frasario della sua condizione di invalido. Perché non solo le gambe sono come morte, ma anche il controllo dell’intestino e della vescica è perso per sempre, e la vita sessuale gravemente danneggiata.
Gli ex colleghi sparlano. Hai visto la moglie? Sempre più bella. Chissà come farà adesso. Ci penserà qualcun altro a soddisfarla, parlottano i due. E sembra di sentirli davvero, nella realtà, sparlare per i corridoi di una mega fabbrica.
I lucidi, amari, tragicomici monologhi di Mereu e Silvia Cattoli (che interpreta l’infermiera e la moglie), si alternano a parti di danza sulle note di un blues estemporaneo, a momenti di gioco, puramente non-verbali, ad altri corali e cantati. In un buon equilibrio tra silenzi e musica, parole e visuale. Il tutto sostenuto da un minimalismo necessario a smorzare perfettamente i toni, alterarli, rendere il prodotto teatrale sostanziale – ma non didascalico. Allo stesso tempo, aprendo squarci di denuncia sociale. Perché il pubblico ideale, per Giammarco, sarebbe proprio quello composto da operai e imprenditori.
Ma, tutti dovrebbero vedere Giorni rubati.