
L’omaggio che il Teatro Fabbricone di Prato ha dedicato all’affermata Compagnia di origine siciliana Scimone-Sframeli, con una mini rassegna contenente tre opere del loro repertorio, ha preso il via con lo spettacolo Il cortile.
Le luci si accendono su di un’ambientazione scenica minimalista e contemporanea, contenente un piccolo ammasso di rifiuti urbani, tra i quali spiccano il frontale di una motocicletta e due lettere, la “A” e la “B”, in filo di neon bianco da Bar (un celato richiamo ad un precedente spettacolo della compagnia: “Bar”, appunto). In questo scarno esterno atemporale di un non-luogo emergono due personaggi Beckettiani, molto rassomiglianti ad Hamm e Clov di “Finale di partita”, eterni servo e padrone del più classico paradosso. Peppe e Tano, l’uno non può fare a meno dell’altro, rincuorandosi e dandosi manforte per passare il tempo, per sopravvivere, anche quando dal cumulo di rifiuti sbuca un terzo personaggio più sciatto di loro, che tenta di fare ad entrambi pena, ottenendo in cambio tozzi di pane stantii, fino ad esaurire le misere provviste. La tragicomicità della narrazione si amalgama alla disperata esistenza dei personaggi decadenti, che sull’orlo della rassegnazione ottemperano agli ultimi bisogni primari, inermi spettatori di una vita sfuggente dove asciutte pennellate trapelano ricordi vacui.
L’essenzialismo chirurgico della drammaturgia di Spiro Scimone è magistrale, tanto che l’originalità del testo gli ha permesso di ottenere il premio Ubu 2004 come miglio nuovo testo italiano.
L’immancabile accento siciliano che ne sottolinea le origini, i dialoghi ridotti all’osso, le pause, il non detto, il ritmo dalla recitazione sempre ben cadenzato e con quel pizzico di humour, anche nei momenti più seri della rappresentazione, sono diventati un segno distintivo della compagnia, che efficacemente dona anima e corpo al surreale mondo messo su carta da Scimone. Segno fin troppo riconoscibile e simile al già visto “Giù“, ultimo spettacolo in ordine temporale della compagnia, con i caratteri dei personaggi fedelmente ricalcati da “Il cortile”, che ne deturpa in parte e col senno di poi l’originalità creativa.
A parte questo appunto, che mi auspico di disperdere da qui al termine della mini rassegna, chapeau ad una Compagnia che sa bene come si fa teatro, quello vero, e che tra le tante strade percorribili ed empiriche che oggi più che mai vengono propinate agli spettatori, ha il coraggio di scegliere la controtendenza, la denuncia, l’originalità.
Il fine surrealismo con il quale vengono esposti temi scottanti di disagio come la fame, l’abbandono, la povertà, mantiene freschi e correnti i loro testi, che da quasi 20 anni solcano i palcoscenici di mezza Europa.
Esemplare l’interpretazione di Francesco Sframeli nei panni di Peppe: come un metronomo scandisce il ritmo della performance e assieme a Spiro Scimone crea un’altalena di sottile comicità e riflessione che percorre tutta l’opera, mantenendola viva e dinamica nonostante la quasi staticità della perfetta regia firmata da Valerio Binasco. Come in Pinter, Beckett e Ionesco, si ha sempre l’impressione che qualcosa possa ancora accadere.
È seguito allo spettacolo un interessante e ci auguriamo continuativo incontro con la compagnia moderato da Gabriele Rizza, dove pubblico e attori hanno dato vita a un dibattito dal quale sono emersi aneddoti legati al mondo del teatro vissuto dalla Compagnia come una necessità. Perla conclusiva di Sframeli che citando Eduardo De Filippo, ricorda la risposta data dal grande maestro ad una sua allieva:”il teatro significa vivere sul serio sulla scena quello che altri, nella vita, recitano male”.