
[rating=5] “E mai che mi sia venuto in mente di essere più ubriaco di voi, di essere molto più ubriaco di voi”. Le parole di “Amico fragile” di De Andrè tornano subito alla memoria assistendo a questo one-man-show del bravissimo Gianluca Ferrato-Truman Capote: tutto bene finchè si prende in giro se stessi, il proprio aspetto poco avvenente, la propria vocetta stridula, il proprio essere gay negli anni’50, ma quando si comincia a scrivere dei vizi altrui, delle star -e che star- del tempo, allora no, addio gloria, addio soldi, addio amici.
Un Truman Capote irrefrenabile, irresistibile, dandy egocentrico e vanesio, ma anche talentuoso come pochi: ha cominciato a scrivere a otto anni, poi la fama con il lungo racconto “Colazione da Tiffany” da cui fu tratto quel film meraviglioso che ancora oggi è un classico intramontabile con protagonista la deliziosa Audrey Hepburn, anche se l’autore ci avrebbe voluto la sua amica carissima, Marilyn Monroe.
E’ Marilyn infatti l’interlocutrice invisibile cui si rivolge durante tutto lo spettacolo, il mito del cinema di allora e di oggi, la diva meravigliosa morta in circostanze misteriose per un’overdose di barbiturici e alcool…circostanze misteriose? Truman Capote si avventa contro il sogno americano facendolo a pezzi, contro JFK e suo fratello Bob, contro Jackie’O, contro la guerra del Vietnam, contro il perbenismo di chi fa la guerra ma l’amore no ehh, a meno che non sia il tipo d’amore codificato nelle regole della sacra famiglia, e qui racconta di Charles Manson e della strage compiuta con i suoi affiliati che si facevan chiamare, appunto, “famiglia”.
Un attacco a tutto tondo, a cui fa da sfondo però un’antica malinconia, una solitudine profonda e insuperabile, derivante dal mancato amore della madre, e certe ferite sono insanabili, come scriveva Elsa Morante: ” Io sono quello dagli amori folli e non corrisposti; il primo dei miei amori folli e non corrisposti è stato mia madre”. Una solitudine che lo farà in un certo qual modo solidarizzare con uno degli assassini di cui narrerà le gesta in “A sangue freddo”, altro suo capolavoro, in cui intervista il killer che ha ucciso a sangue freddo una famiglia: “Perchè lo hai fatto? per ricavarne 50 dollari? e allora perchè? forse perchè ti sentivi solo, volevi un minuto di celebrità anche tu… “.
Un attore che tiene meravigliosamente il palcoscenico da solo per un’ora e mezzo ipnotizzando lo spettatore, fra scenari camaleontici, foto d’epoca di Marilyn e Truman, musiche tratte da “Colazione da Tiffany”, prime tra tutte Cole Porter e “Moon River”, cambi si scena, di musiche, di abiti, di show. Uno spettacolo a tratti crudo, forte, in cui si parla di sesso, e senza mezzi termini, anche spiegando concetti interessanti e poco conosciuti, come l’origine dell’epiteto offensivo “finocchio” usato nei confronti degli omosessuali; una crudezza qui necessaria, doverosa.
Complimenti infine al Teatro Niccolini, la sala più antica di Firenze, nata nel 1658 e riaperta a gennaio 2016 dopo anni e anni di chiusura per aver inaugurato la stagione con questo spettacolo così poco “politically correct”, coraggioso e bellissimo, volgare e poetico insieme. Un contributo importante in questo periodo in cui tanto si discute di unioni civili e stepchild adoption, una scelta giusta perchè, come diceva Holly Goligthly in “Colazione da Tiffany” parlando delle sue paturnie: ” La cosa che più spaventa non è quando succede qualcosa, è quando sta per succedere”.