
[rating=4] L’imperatore romano è morto ed già in atto la lotta alla successione tra i suoi due figli, Saturnino e Bassiano. Intanto il tribuno della plebe, Marco Andronico, annuncia a gran voce a tutta la città il rientro di suo fratello, il valoroso generale romano Tito Andronico, che per dieci anni ha combattuto i goti ai confini dell’impero.
Il popolo acclama a gran voce Tito come nuovo imperatore, ma lui, per umiltà, rifiuta, indicando Saturnino come succesore al trono. E in dono al nuovo imperatore offre i prigionieri portati con sè: Tamora, la regina dei Goti, i suoi figli e Aronne il Moro. Vorrebbe dargli in sposa anche sua figlia Lavina, ma quest’ ultima fugge con Bassiano, scatenando l’ira di Tito.
Saturnino decide allora di sposare Tamora. I due sono accomunati da un aspro sentimento di vendetta contro Tito e la sua famiglia; l’uno spinto dall’invidia per la popolarità di Tito e l’altra dall’odio per colui che ha ucciso il suo figlio maggiore. La tragedia della vendetta può dunque cominciare.
Intrighi, sangue, sevizie e mutilizioni, nessuna azione sembra troppo turpe per essere commessa dall’animo umano. Il bene e la morale sono spariti in questa Roma dominata soltanto dalla violenza. La Divinità assiste indifferente a questo spettacolo. Soltanto gli Andronici sembrano continuare a essere portatatori di giustizia, anche se in nome di questa stessa cedono anche loro ad un irrefrenabile desiderio di vendetta.
Il riadattamento e la regia di Buttaroni lasciano intatto lo spirito del testo, mantenuto quasi in versione integrale, gli conferiscono un ritmo incalzante dal sapore cinematografico, complice uno scenario postmoderno che rimanda al “Dracula” di Coppola, al “Corvo” di Proyas e all’omonimo film di Taymor in cui scene e costumi erano state realizzate da Ferretti.
La narrazione scenica segue il filo dei pensieri dei quattro personaggi principali andandone a scandagliarne l’animo. Tecnica usuale nei film di Tarantino che qui si lega perfettamente con il testo del Bardo riproponendone e attualizzandone tutta la sua complessità.
Ma a rendere tutto ciò crudelemente e grottescamente reale è anche un cast d’eccezione che si concede complemete al suo pubblico, tra tutti Tito – Migeni, passando per Marco- Mohamed, a Tamora- Kofler e infine ad Aronne – Di Somma.
L’atmosfera è quindi reale, l’aria pesante, l’angoscia palpabile in ogni istante, ovunque è buio pesto e oscurità, il trono è una ruota meccanica che gira, il male è ovunque. E così le ultime parole di Aronne cadono lente e grevi: Se mai ho commesso una buona azione nella mia vita, me ne pento dal profondo dell’anima.