
Una sedia e ovunque ore di appuntamenti illuminate nella scenografia ed ella che entra ed esce: ora perché un libro è caduto, ora per un pediluvio, ora per un palpeggiamento, ora per la scelta del vestito blu piuttosto che grigio con chabot rossa, vuoi per la sistemazione delle sedie prima una, poi due, poi tre “…così va bene…”. Seduto sempre l’aspetta e da ordini in foggia da vecchietto malandato, con difficoltà di movimento e in attesa che gli amputino una gamba, il grande Roberto Sturno. Autore del trattato “Il miglioramento del mondo” ne “Il riformatore del mondo” si rammarica di come tutti i giorni viva questo carcere chiuso in quegli ambienti che fanno la scena, sempre lui e lei.
Dovrebbe uscire a farsi una passeggiata ma odia il mare, odia il sole, odia il cinguettio degli uccelli, non ama uscire a prendere aria e tutto ciò che venga dall’esterno. Oggi per lui è un giorno particolare gli verrà conferita la laurea “honoris causa” per il menzionato scritto, del quale talora chiede a colei, che entra ed esce, che gli venga letto un pezzo, sempre lo stesso, ma poi cambia idea e così per ogni movimento di colei che è unica duttilità e variante in questa sua casa-bunker. Sistemate le tre sedie entra la commissione si accomoda e gli conferisce il titolo cui dovrebbe seguire un discorso, la cui utilità, il nostro anziano filosofo extraaccademico, non trova idonea per il momento e mentre vanno le parole all’onorificenza ricevuta, che avrebbe voluto dire nell’estratto pronunciato a sua voce ed a fatica “…le favole sono finite…” giunge a conclusione il primo monologo dello spettacolo.
La scena cambia: quasi la hall di un Hotel, in professionale divisa di circostanza, un addetto alle chiavi, e un’apposita griglia che le contenga, due poltroncine e un divanetto in pelle color cuoio e qui in rosso quasi una sottoveste una certa, Stefania Micheli o, signorina si dimena, ride agitando la bottiglia e attende che arrivi l’ora per indossare la maschera ed andare a nanna alle sue spalle un infinito scaffale tutto bottiglie vuote. Ed eccolo maestoso encomio di recitazione Glauco Mauri entra in scena si siede sulla poltroncina centro palco del proscenio e racconta di sé. Un attore che non recita da trent’anni e finalmente potrà di nuovo interpretare Re Lear di Shakespeare al teatro di Flensburg.
Un vecchio artista, un grande direttore di teatro, racconta il piacere e l’emozione di indossare la maschera del teatro classico fatta appositamente per lui da James Ensor e la porta con sé gelosamente custodita in una valigetta che guarda con attenzione ispettiva spasmodica. Non ama il teatro classico e lo ha abbandonato da trent’anni quando fu cacciato da Lubecca. Lo rammenta se ne rammarica e attende che il direttore del teatro di Flensburg lo riceva per l’incarico e intanto entra nel foyer una ragazza in verde ed attende il suo fidanzato di 17 anni e ascolta. A lei il seguito del racconto, a lei indirizzato e questo è “Minetti. Ritratto di un artista da vecchio” il cui culmine dottrinale è ”…quando la natura impazzisce, ecco l’arte!”
Questo è Thomas Bernhard in scena al Teatro Argentina, nostalgia, ossessione e inquietudine, apoteosi della maestria registica di Andrea Baracco e interpretativa a firma certa di successo nel duo Sturno/Mauri per due personaggi difficili nel riscuotere l’amore del pubblico che seppur sparuto applaudirà la neve che cade a fine spettacolo insieme alle quinte e il carosello delle maschere a fine rappresentazione per i saluti della compagnia al comparire della luminaria ‘Hotel’ su un palco nudo.