Strange world, la tenera umanità raccontata dalla Folchitto

Donne, sogni infranti e note divine, Barbara Folchitto firma la sue seconda regia, in scena al Teatro Le Maschere di Roma

Strange Word al Teatro Le Maschere di Roma

Due donne delle pulizie, un lungo tavolo ricolmo dei fasti di un banchetto consumato e un paio di guanti blu (oggetti scenici di Giuseppe Roselli e Christian Pilato), guanti languidi che sbucano da sotto la lunga tovaglia nivea. Un incipit trascinante dalle prime impressioni questo “Strange world”, scritto e diretto dall’attrice Barbara Folchitto, noto volto televisivo e cinematografico, che pure ha calcato in carriera parecchi palchi di teatro.

Esperienza efficace per chi ha evidentemente saputo come lei assorbire le giuste “vibes”, come si usa dire oggi, al fine di potersi sistemare adeguatamente dall’altro lato della scena, nell’ombra sempre un po’ spaventosa della regia. Accade spesso che gli attori si calino nei panni del regista, non sempre felicemente, quantomeno in teatro, non è il caso della Folchitto. Con “Strange world” ci regala al Teatro Le Maschere di Roma (in scena dal 12 al 15 gennaio) una scrittura intelligente, raffinata, “leggera” nel senso meno superficiale del termine, che sa sfiorare lo sguardo dello spettatore come una carezza.

Marjia e Annamaria le protagoniste, provengono da radici lontane, che finiscono tuttavia per intrecciarsi in un presente talvolta rassegnato, talvolta ironico, che parla di sogni lasciati fuggire via con la gioventù, di affetti duri e promesse infrante. Marjia ha lasciato sua figlia lì dove lei è partita tanti anni prima, per non riuscire più a tornare, o quasi e Annamaria per accudire la madre ha dovuto rinunciare alla sua grande passione: il canto. Ma ecco i guanti blu, elettrica traccia pronta a ridare la scossa di un tempo che fu. Abbandonati forse da una danarosa signora impellicciata, dopo qualche fondo di champagne sorseggiato con allegria, sono il dolce pretesto per tornare indietro, immaginandosi per un attimo come la divina Piaf.

Annamaria canta e “spiccia” sorridente, mentre Marjia affonda nel dispiacere e nella malinconia. La confessione inaspettata e fulminante di un segreto, sarà l’occasione allora per Annamaria di farsi sentinella della collega-amica, spingendola con asprezza e affetto verso l’imperativo della sua vita: “andare avanti”. In un bel libro della Stancanelli: “Le attrici”, dove pure si giocava sul dualismo di personaggi femminili, c’era questa bella riflessione che mi sembra calzare a pennello sulla tenera umanità raccontata dalla Folchitto.

Giada Lorusso è Annamaria in Strange World

Diceva qualcosa come: “gli esseri umani non possono camminare all’indietro e hanno gli occhi solo davanti, nell’unica direzione in cui possono guardare”. L’anatomia forse crudele ci costringe dunque a alla visione “oltre”, proprio quella in cui l’inossidabile ottimismo di Annamaria, vorrebbe trascinare l’animo triste di Marjia, un personaggio che resta per questo sempre un po’ in ombra, ma non per il talento dell’interprete, presente all’appello.

Uno spettacolo molto interessante, soprattutto a partire dall’incipit, un quadro che colpisce subito gli occhi (scene e costumi di Francesca Di Giuliano), con la tavolata di bicchieri vuoti e quel tocco leggero di luce che rimbalza oltre la profondità dei calici da vedere “mezzi vuoti”, “mezzi pieni”, o più semplicemente come suggerirebbe Annamaria: “da svuotare”. Ottima prova d’attrici per Angela Sajeva e Giada Lorusso, quest’ultima anche in veste di cantante niente male, che grazie alle sue estensioni da mezzosoprano, ci regala per intensi attimi, fugaci brividi dell’usignolo francese Edith Piaf.

Bella la danza luci di Giuseppe Filipponio, convincente la regia, anche se, giova dirlo, si rimane un po’ con l’amaro in bocca, si ha come la sensazione di qualcosa lasciato in sospeso. Ma forse c’è pure una scelta stilistica in questa sorta di non-epilogo, dopotutto resta eterna la poesia della mancata fine, reale o presunta e in Strange world, di poesia non ne manca. Forse solo il titolo non sembra del tutto coerente coi contenuti e in qualche modo può portare “fuori strada”. Il tracciato narrativo è tuttavia forte e pieno di ritmo. Piacerebbe vederne ancora, forse è solo questo e questo dice tutto. Brave!