La Trilogia dell’attesa: una brillante ironia

[rating=5] Quando si dice che per fare del buon teatro non servano troppi orpelli, né chissà che invenzioni sceniche, di fronte a questo splendido trittico de LaFabbrica non si può non confermarne al cento per cento l’assunto. Il buon teatro, quello vero, che sa smuovere anima e pensieri, è gesto e parola, una sintesi perfetta che non scinde mai queste due componenti, realizzando la peculiarità più rappresentativa di questa antichissima e nobile forma d’arte.

Il gruppo romano LaFabbrica, già incettatore di premi sul territorio nazionale e oltreoceano propone nello storico scenario sperimentale del Teatro Vascello a Roma, tre quadri incentrati sul tema dell’attesa.

Il primo è “Aspettando Nil” per la regia di Fabiana Iacozzilli, con Elisa Bongiovanni e Giada Parlanti, due creature da palcoscenico di talento raro, qui nei panni di due anziane donne, madre e figlia, intente in un accorto e preciso rituale di “vestizione” per l’inarrivabile (in tutti i sensi) uomo dei sogni, sulle note teneramente malinconiche di Luigi Tenco, forse il quadro più divertente.

Il nucleo centrale dello spettacolo è invece rappresentato da “Quando saremo grandi” con Simone Barracco, Matteo Latino, Ramona Nardò e Francesco Zecca (che sostituisce Matteo Latino) dove tre decrepiti “bambini” attendono in un perimetro inviolabile l’arrivo della mamma, consumando merendine e ripetendo infantilmente le stesse dinamiche, come in un gioco meccanico rimasto incastrato nell’esasperante e ottusa applicazione della “regola” appresa appunto da bambini.

Trilogia dell'attesa

Chiude la tris “Hansel e Gretel, il giorno dopo” di nuovo con la coppia Bongiovanni-Parlanti nelle vesti “strette” è il caso di dire, dei due fratelli grimmiani divenuti oversize dopo aver fagocitato tutta la casetta di marzapane e imprigionato la strega (una straordinaria Marta Meneghetti) e ora a loro volta imprigionati nella reiterazione del piano perfetto per l’uccisione della megera, una favola che non può “finire” finché il padre dei pargoli obesi non arrivi a complimentarsi per cotanto audace operato.

Tante risate, ma non di quelle da comicità bassa e facile, qui è di casa l’ironia più brillante, quella che sa stimolare le giuste e profonde riflessioni nelle teste non abbrutite dalle versioni ahinoi truci del “pop”. Assolutamente da vedere, una compagnia da scoprire e riscoprire con gusto e compiacimento per la bravura dei suoi interpreti, tutti, dal disegno luci ai costumi, dalla regia agli attori, un vero godimento intellettuale.

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