
Ha fatto tappa anche a Trento lo spettacolo “Riccardo III” della regista Kriszta Székely, con l’adattamento di Ármin Szabó-Székely e la traduzione di Tamara Török, in scena nei prossimi giorni anche a Modena, Padova e Roma.
Non si tratta solo di un’altra versione teatrale della celeberrima opera di Shakespeare, ma di una vera e propria discesa nell’abisso della tirannia.
Il testo shakespeariano, tra i più lunghi e complessi dell’autore, in questo adattamento è completamente scarnificato: il numero dei personaggi è ridotto, il linguaggio è più attuale, reso più fresco e ritmato, alternato con parti tratte dall’opera originale.
Riccardo III (Paolo Pierobon) è per eccellenza l’emblema della ferocia e della brama di potere. Ammette già dalle prime scene le sue intenzioni di voler essere malvagio, di essere disposto a tutto per sovvertire l’ordine delle cose per raggiungere questo potere. Zoppo, non amato neanche da sua madre, inizia a seminare odio tra i suoi fratelli Edoardo (Francesco Bolo Rossini) e Clarence (Stefano Guerrieri), seduce Anna (Lisa Lendaro), provata dall’assassinio del marito e del padre e lascia in seguito una lunga scia di cadaveri che gli spettatori possono vedere in scena, avvolti in sacchi neri in un angolo. Riccardo è odiato da Margherita (Marta Pizzigallo), la “profetessa” che non viene ascoltata e dalla cognata Elisabetta (Elisabetta Mazzullo), anch’essa in parte affascinata dall’uomo. Riccardo elimina anche Hastings (Matteo Alì) che si fidava di lui, arriva ad uccidere i nipotini figli di Edoardo (Alessandro Bonardo e Tommaso Labis), assoldando il terribile Tyrrel (Alberto Boubakar Malanchino), l’unico in grado di compiere un delitto così atroce. Buckingham (Jacopo Venturiero) completamente scioccato dall’omicidio dei fanciulli, è destinato alla stessa fine: accanto a Riccardo rimane il suo pavido servitore Catesby (Nicola Lorusso). È però Cecilia (Manuela Kustermann), madre di Riccardo, l’unica ad avere la forza di maledirlo e ammettere di non averlo mai amato.
Dimentichiamoci la Guerra delle due Rose, siamo di fronte ad una guerra civile nel mondo contemporaneo, tra video, talkshow e social media, con diversi riferimenti alla storia del nostro tempo come Mosca, Teheran e Pechino.
La modernità dello spettacolo è visibile già dalla scenografia. Tutta la storia avviene in uno chalet di montagna, vi è ampio uso di video per trasmettere ad esempio i vari comizi e i talk show. Una telecamera riprende i discorsi dei potenti al popolo proiettandoli in diretta, in alcune scene un pannello copre lo chalet per mostrarne i video, come ad esempio la toccante scena dell’incontro di Riccardo con i nipoti, figli di Edoardo. Colpisce la decisione di mostrare i due fanciulli, visto che nel testo shakespeariano i due piccoli sono solo nominati. Mostrarli al pubblico, prima vivi, poi morti in due sacchi, crea ancora più angoscia nello spettatore.
Le donne hanno un ruolo maggiore rispetto all’opera shakespeariana, ma la violenza fisica e psicologica non è risparmiata neanche a loro. Non c’è empatia, né solidarietà neanche tra loro, Cecilia rimane una madre gelida anche davanti alla morte dei figli Clarence ed Edoardo. È emblematico il finale, che a differenza dell’originale vede la vittoria di Elisabetta, che in nome della “pace” utilizzerà le stesse modalità aggressive di Riccardo e dei predecessori.
Pierobon presenta un Riccardo con dei tratti comici che lo rendono simpatico, suscitano anche la risata dello spettatore, ma in realtà sono tratti finalizzati ad ottenere il consenso del pubblico. Se da una parte possiamo essere solidali con questo personaggio, l’effetto straniante dello spettacolo risiede nel fatto che quando siamo chiamati a decidere da quale parte stare, facciamo i conti con la nostra coscienza, esattamente come Tyrrel e i sicari degli omicidi. Siamo con Riccardo? Il nuovo re ce lo dice, in caso di risposta negativa per noi la pena sarà la morte. Ci sentiamo quindi obbligati a stare dalla sua parte? Forse c’è un momento in cui realmente ci sentiamo calati in quella realtà che esiste solo sul palco.