
Dal cinema al teatro, dal film del 1975 di Milos Forman alla trasposizione di Dale Wasserman, basata sull’omonimo romanzo di Ken Kesey, tradotta da Giovanni Lombardo Radice e adattata da Maurizio de Giovanni per la regia di Alessandro Gassmann. Siamo nell’Ospedale Psichiatrico di Aversa nel 1982 e un velatino onnipresente aiuta la scenografia di Gianluca Amodio con le videografie di Marco Schiavoni. La scena si apre negli ambienti comuni del reparto con i due infermieri che puliscono lo spazio ed uno dei due, Renato Bisogni che balla e canta “Rumore” si sente e si prepara ad essere la nuova Raffaella Carrà nello spettacolo del centro di cura mentale per le festività natalizie, ma siamo solo a giugno, un po’ in anticipo come gli fa notare l’altro, Antimo Casertano, Lorusso è il personaggio che interpreta.
Il linguaggio dialettale napoletano, i modi di fare e di dire, il contesto temporale e culturale, portano la vicenda ai nostri giorni e rendono il tutto più coinvolgente per un numeroso pubblico in sala. Il primo ad entrare in scena è un gigante, di colore, Ramon Machado, il cui attore è magistrale ovvero Gilberto Gliozzi. È un buono sempre seduto in un angolo, è sordomuto. La caposala Suor Lucia, il volto è quello arcigno di Viviana Lombardi, bravissima, ed è meglio farsela amica che nemica, chiama i pazienti in sala da giorno per le terapie e la rappresentazione ha inizio.
Due tavolini e sette sedie eccoli entrare sono sette ‘pazzarielli’, così come li chiama Dario, ultimo arrivato ed ultimo ad entrare Dario Danise, era Jack Nicholson o Randle Patrick McMurphy, nel film, un’eccelsa presenza attoriale, interpretativa e caricaturale quella di Daniele Russo. Questi sono i pazienti acuti e poi sul ballatoio sei porte per i pazienti cronici. Siamo all’epoca dei mondiali e l’ultimo arrivato vorrebbe vedere in tv le partite dell’Italia e si ribella ai soli telegiornali che prevedono le regole della struttura. La voglia di normalità mette nel centro le diversità e tante sono le tipologie che incontriamo tra i personaggi, la balbuzie, l’omosessualità, la malattia del sordomuto, la paura del mondo, il disagio interiore, l’abuso di potere, la privazione della libertà personale.
Combattere queste altre forme di normalità curate come pazzia è l’intento del messaggio cui mira Alessandro Gassmann e nel protagonista Dario converge la ribellione alle dinamiche interne dell’ospedale e la conseguente voglia di partecipazione che da lui matureranno gli altri pazienti. Quindi una festa notturna con tanto di prostituta. Titty Love, interpretata da Gaia Benassi, il conseguente elettroshock a carico di quegli, il tentativo di strangolamento di Suor Lucia, ormai sua carceriera, la successiva lobotomia, il suicidio di uno dei pazienti, e quindi la riduzione a vegetale per il ribelle colpevole. I ‘pazzerielli’ e Ramon per ridargli dignità lo soffocheranno con un cuscino. Quest’ultimo il gigante buono riuscirà a sollevare la statua della Madonna ad ornamento della sala da giorno e a scagliarla contro le finestre e prendere il volo sul ‘nido del cuculo’ e creare negli altri pazienti il desiderio di libertà.
Le videografie creeranno il fascino di un finale a vetri in frantumi sugli spettatori dopo 160 minuti, quasi tre ore, in una tragedia più che spettacolo, in un kolossal più che teatro e genereranno l’appaluso del pubblico, mentre le immagini simuleranno il gigante che cammina nella platea divenendo sempre più alto fino a ridursi a solo piedi.