
[rating=4] Le lenzuola bianche del monumentale letto si specchiano nell’anta di un armadietto lugubre, avvolto nella penombra. Il teatro georgiano irrompe in prima assoluta in Italia al VIE FESTIVAL dello scorso anno per poi tornare nelle sale dell’Arena del Sole di Bologna, con lo spettacolo “Memorie di un pazzo”, scritto da Nikolaj Vasil’evič Gogol’, per la regia di Levan Tsuladze, il direttore artistico che ha risollevato le sorti del Kote Marjanishvili State Drama Theatre di Tbilsi, rendendolo uno dei teatri di riferimento in Georgia ed a livello internazionale.
Il protagonista dello spettacolo è Poprishchin, un impiegato di basso livello del ministero, con nessuna prospettiva di vita né di crescita. La sua camera buia racconta già di lui in sua assenza: pochi particolari ma azzeccati per raccontare con gli oggetti la vita di un uomo. E le scene si susseguono frenetiche, la scenografia viene smontata e rimontata rapidamente, la regia coglie sempre nel segno, andando a mostrare i particolari della vita di Poprishchin senza narrarli, solo mostrandoli, come ad esempio la bella scena della corsa a piedi o in bicicletta, dove tutti lo superano, lui fatica ma resta ultimo, si appoggia ad una parete, contempla quanto sta perdendo, la sua vita che se ne va rapidamente. La pazzia non tarda ad arrivare, dapprima sorniona, poi evidente e quasi caricatura di sé stessa. Poprishchin si innamora di un’attrice di teatro (mentre nel testo originale era la figlia del datore di lavoro) che lo guarda e gli sorride, come si sorriderebbe ad un emarginato. Lui resta folgorato e non può più riprendersi: in ogni suo sogno c’è lei, in ogni armadio si materializza la sua figura, ogni momento della sua esistenza vorrebbe essere accanto a lei.
Poprishchin riesce ad entrare a teatro e ad ingraziarsi il cast, che gli lascia manovrare addirittura le luci di scena, finquando non riesce a rovinare tutto. Si intenerisce della sua misera condizione l’amica dell’attrice, che lo raggiunge a casa, convinta di poterlo curare. Poprishchin, dato che nella piece teatrale lei faceva la parte di un cagnolino, continua ad offrire alla donna qualche ossetto e una ciotola con dell’acqua, “è la prima volta che sento un cane parlare”, la realtà si mischia alla fantasia, il confine è ormai oltrepassato.
Appreso che la sua amata si sposerà con un generale, vuole diventare anche lui un generale, “il meglio della vita se la prendono sempre loro, i generali”, fino all’epilogo in manicomio, dove un dottore-satana lo accudisce, dove l’amica dell’attrice fa il suo estremo tentativo di salvarlo e dove lui sprofonda nella pazzia più completa.
“Ho scoperto che sotto le ali delle galline c’è la Spagna”
La regia è davvero interessante, le scene sono ben fatte e molto dinamiche, con un uso delle luci appropriato e mai banale. Nella scena del manicomio, la scenografia arretra e il pavimento si ricopre di montagne di ritagli di giornale, gli stessi che Poprishchin strappava e censurava nel suo lavoro al ministero, ormai è finito nell’oblio, la società lo cestina e lo censura. La pecca principale dello spettacolo purtroppo è l’attore protagonista, che inizia lo spettacolo esaurendo già quell’energia che dovrebbe esser conservata invece per l’ultima parte. Le battute sono coerenti alla non pazzia iniziale, ma emotivamente lo vediamo già carico: questo sporca il finale, rovinando il crescendo.