Lumina, la danza della luna e la poesia delle emozioni

L'intenso, ironico e toccante spettacolo di Auriga Teatro al Teatro Lo Spazio di Roma

Il "pittore della luna" di Lumina

Il teatro maschera è un mare ostile e periglioso, foriero sì di un linguaggio universale: il gesto, che tuttavia non sempre risulta di facile “appiglio” per platee abituate e forse impigrite dalla presenza della “voce”. Hanno fatto da battistrada i Familie Floz, il gruppo berlinese che ha macinato successi internazionali escludendo l’uso della parola e dei quali Auriga Teatro raccoglie certamente l’eredità.

Prima di loro i mitici Mummenschanz che hanno insegnato al mondo come ridere e piangere senza emettere alcun suono linguisticamente riconoscibile, ma fregiandosi di quando in quando anche dell’uso di straordinari e divertentissime onomatopeiche e naturalmente dei così detti “rumori”, che una nota commedia posiziona simbolicamente nel “fuori”, ma che poi riescono sempre a tornare prepotentemente protagonisti, seppure con vesti diverse.

Auriga teatro li orchestra sapientemente assieme a una scelta musicale davvero azzeccata in “Lumina”, lo spettacolo in scena al Teatro Lo Spazio dal 19 al 22 gennaio. La storia di un anziano pittore dolcemente ossessionato dal ritrarre la luna, incanta il pubblico del teatro, che per un’ora di assenza del parlato, non stacca mai gli occhi dai due protagonisti, che alternano cinque maschere/personaggi: Lorenzo Marchi (realizzatore anche delle maschere stesse) e Roberta Sciortino. Divertenti e gentili questi piccoli grandi protagonisti dal volto (di cartapesta?) che ci raccontano con tenerezza e semplicità il viaggio più audace e “lontano” che ciascuno di noi dovrà intraprendere.

La luna di Lumina

Rappresentare la morte è impresa spinosa, tanto quanto “parlare” senza parlare”, Marchi e Sciortino ci riescono magistralmente, prendendoci letteralmente per mano e proiettandoci nella commovente parabola di Lumina. Ecco allora questo dolce pittore un po’ agée che cerca di coinvolgere il vecchio amico, il ragazzotto che gli porta il latte e perfino l’esperta d’arte dei singoli dettagli di quelle molteplici visioni pittoriche. Dettagli che sfuggono agli sguardi meno attenti, ma non a quello dello Luna in persona, che scende direttamente in casa del pittore per farsi ritrarre “dal vivo”.

E’ questo il momento più raffinato dello spettacolo, in cui l’anziano pittore e la giovane luna danzano nel salotto ricolmo di ritratti lunari (scene di Debora Palmieri), sulle note di un walzer-milonga che ci fa sognare. Un piccolo grande universo poetico ricco di suggestioni, dove l’illuminotecnica di Fabio Pecchioli gioca un ruolo fondamentale, disegnando profili luminosi e penombre degne dei più grandi “maestri della luce”. Menzione speciale per i costumi di Maraan Gentile, soprattutto per la gonna “stellata” della luna-bambina, invenzione scenica dal grande impatto visivo.

Una bella orchestra di suoni, gestualità e musica perfettamente cucite insieme da una poetica del silenzio in grado di restituirci una delle più genuine forme di partecipazione. Ottima la preparazione attoriale, seguita dalla tecnica di Stefano Dattrino, che omaggia la clownerie e il circo di strada. Tutto funziona come un’orologio, lo stesso a cui guarda il pittore in attesa della luna che “lo venga a prendere”. Esordio fulminante e audace che, parrà banale e forse ossimorico scriverlo, ci lascia felici e saturi di meraviglia, “in una parola”: “senza parole”.