
Si è appena conclusa la tappa torinese al Teatro Carignano e prosegue la fortunata tournée dello spettacolo L’ispettore generale, frutto della felice penna di Nikolaj Gogol’, per l’adattamento e la regia di Leo Muscato che ha abilmente ridotto i cinque atti originali a un atto unico di quasi due ore. Primo vero capolavoro del teatro comico russo, l’idea per il soggetto fu suggerita a Gogol’ da Puskin da un fatto realmente accadutogli. In una sperduta cittadina di provincia il podestà (Rocco Papaleo) raduna a sé i cittadini che a vario titolo detengono il potere per informarli che da lì a poco arriverà un ispettore generale proveniente da Pietroburgo, con l’incarico di sondare il buon operato dei funzionari del villaggio. Dal momento che tutti hanno qualcosa da nascondere, dal sovraintendente delle opere pie all’ufficiale postale, tra una vasta gamma di irregolarità, abusi e favoritismi, il consiglio è quello di stendere un velo pietoso di omertà. Due pettegoli possidenti Bobčinskij (Michele Cipriani) e Dobčinskij (Michele Schiano di Cola) credono di averlo individuato in un particolare ospite che da qualche giorno soggiorna nell’alberghetto locale. Così nella piccola comunità si semina il panico e ognuno cercherà di mettere in atto un piano per nascondere le malefatte e per corrompere l’alto funzionario. Da parte sua il podestà si prodigherà nell’accogliere l’ispettore a casa propria vezzeggiandolo e ricoprendolo di vizi di ogni sorta (vini, cibi prelibati), in modo da stordirlo e disorientarlo, arrivando al punto di concedergli la mano della figlia che pensa di aver messo gli occhi su un buon partito. Nessuno immagina che in realtà dietro il fantomatico ispettore, che si fa chiamare Chlestakov, si nasconde solo un piccolo impiegato (Daniele Marmi) costretto a fermarsi in quella cittadina a causa di una perdita al gioco e che non appena fiuterà l’equivoco approfitterà della situazione. L’intera commedia è pervasa da una serie di equivoci a rotta di collo e situazioni bizzarre con un ritmo serrato e un umorismo travolgente.
Ma questa commedia di grande attualità quando andò in scena a Pietroburgo il 19 aprile del 1836, alla presenza dello zar Nicola I, non fu accolta con entusiasmo e scatenò molte polemiche. L’insuccesso fu causa di grande amarezza per Gogol’ che si sentì in obbligo di dare giustificazioni del suo operato in due opere successive, dove caricò la commedia di significati allegorici e per un lungo periodo errò per l’Europa. Chi era dotato di senso dell’ironia aveva dimostrato ammirazione per quest’opera, altri si sentivano toccati nel vivo e non perdonarono all’autore di averli fatti ridere sulla classe al potere dalla discutibile moralità. Inoltre, sulla scena russa erano già state rappresentate all’epoca opere in cui si denunciavano gli abusi quotidiani dei burocrati statali, ma nei testi precedenti c’era sempre stata una contrapposizione fra il bene e il male, con personaggi positivi e negativi che si fronteggiavano. Ne L’ispettore generale, invece, per la prima volta, i personaggi sembravano essere tutti negativi e si assisteva ad un finale aperto: il vero ispettore generale avrebbe fatto giustizia o si sarebbe comportato come il falso revisore?
Rocco Papaleo è perfettamente in parte nelle vesti dell’uomo corrotto forte coi deboli e debole coi forti, dai modi un po’ cialtroni di chi è abituato a raffazzonare cose e situazioni per il proprio tornaconto personale. Bravissimi tutti nella caratterizzazione dei personaggi, che anche se sono tanti, emergono tutti con decisione. A partire da Daniele Marmi, istrionico nel passare dallo sprovveduto impiegatuccio in panne al tronfio funzionario che sa approfittare della situazione per raggirare traffichini di provincia, una volta fiutato l’affare, e portare avanti la farsa, spingendosi oltre. Ottimo l’affiatamento tra Papaleo e Marmi, ognuno detonatore della comicità dell’altro. Tra gli altri spiccano per presenza scenica Marco Brinzi nei panni dell’alticcio e ficcanaso ufficiale postale, Giulio Baraldi ottima spalla di Daniele Marmi nel ruolo di Osip, la camaleontica attrice Elena Aimone, che veste i panni di ben tre personaggi diversi, la dottoressa dall’alito pestilenziale, la cameriera della locanda e la vedova, Marta Dalla Via e Letizia Bravi, rispettivamente nei ruoli della moglie e della figlia del podestà, sono sostenute da una buona energia e tempi comici perfetti. E ancora Marco Gobetti nella parte del giudice, Marco Vergani il direttore scolastico, Gennaro Di Biase il sovrintendente delle opere pie e Salvatore Cutrì attendente e mercante.
La suggestiva scenografia è curata da Andrea Belli che ha immaginato un luogo metafisico, astratto, un villaggio innevato con case stilizzate ai lati che sembrano cristallizzate nel ghiaccio e al centro ambientazioni più curate che vengono svelate a seconda della scena grazie ad una pedana girevole evocando spazi diversi. Le musiche originali di Andrea Chenna e gli abiti tradizionali russi e i lunghi cappotti sormontati da colbacchi di pelliccia, nelle sapienti mani della costumista Margherita Baldoni, invitano a scivolare in un tempo e in un luogo remoti.
Lo spettacolo è coprodotto dal Teatro Stabile di Bolzano insieme al Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e dal Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale.