
[rating=3] Un rumore di mare misto ad un treno, con bisbigli in napoletano che poi si trasformano in una musichetta: così si apre lo spettacolo “Notturno di donna con ospiti” al Duse di Bologna. Questi “rumori” sono troppo lunghi, sembrano interminabili, anche perché ci dividono da una bravissima Giuliana De Sio che interpreta Adriana mentre fuma una sigaretta sulle scale di casa sua. Lo sguardo attonito e intenso, l’attenzione altrove, la postura riflessiva anche se non propriamente comoda, le conferiscono un’aria misteriosa: una suggestiva apertura di scena. Adriana è una casalinga repressa e quasi “detenuta”, con un marito metronotte più assente che presente e due figli (col terzo in arrivo) che le fanno da secondini. Lei non reagisce a tutto questo, sembra una bambina troppo cresciuta, non ha gli strumenti per poter interpretare il suo malessere e si limita a conviverci.
Il marito esce dalla doccia con solo asciugamani addosso e tenta di violentarla, lei si ribella ma è l’unica cosa che può fare, non esce mai, le viene negato anche di andare al vicino supermercato. L’uomo si riveste e va a lavoro, lei resta dentro quelle quattro mura, sola. Guarda la televisione (soltanto i canali che si vedono ancora), ripete le pubblicità a memoria, telefona alla mamma anelando qualche novità e si dispiace che non è potuta andare con lei a pulire la tomba del padre, “era una distrazione…[…] chi hai incontrato al cimitero?”, come se fosse un luogo di incontri. Si addormenta sulla poltrona ma viene svegliata da un’improbabile compagna di classe, Rosanna, che irrompe nella sua vita bussando alla finestra del giardino. Arriva anche il marito di Rosanna, Arturo, che litiga con la moglie e finisce per flirtare con Adriana. “Mi pare di stare dentro ad un film” dice Adriana, con la sua solita espressione stupida ed oca.
I personaggi appena entrati in scena si comportano come se fossero a casa loro, si fanno la doccia e girano seminudi, bevendo o mangiando cosa preferiscono. Arturo le fa domande cui Adriana non ha mai risposto: “parlami di te”, “in che senso?” risponde lei in evidente imbarazzo, “che lavoro fai?”, “ in che senso?”. All’interno della narrazione entrano anche il padre e la madre di lei, rancori e ricordi che svelano i particolari della sua vita precedente al matrimonio. Ritorna anche il marito ma non sembra lui, non è geloso, non è fedele, non è permaloso come nelle prime scene, si unisce alle altre due strane figure come se le conoscesse da anni. Tutti questi fantasmi sono nella sua testa, Adriana li costruisce come li vorrebbe, o forse nemmeno questo, si limita a crearli diversi da come li vede nella realtà, per provare cosa succederebbe se la sua vita avesse preso una direzione diversa, come in un film appunto.
Quando Adriana tenta di disfarsi dei suoi strani ospiti viene subito fermata da Arturo: “noi non usciremo più di qui! […] non ce ne andiamo più!”. La follia prende il sopravvento, Adriana si veste come Rosanna e viceversa, mentre gli uomini restano tutti nudi con solo asciugamani addosso, come prima aveva fatto il marito. Questa promiscuità sessuale e questo scambio continuo di identità rimescola le carte in gioco, l’unico punto fermo sono i genitori di Adriana: escono dai mobili più impensabili, ogni cosa le parla di loro, la perseguitano. Anche il fatto che siano interpretati dal medesimo attore non è un caso, rappresentano la sua coscienza che parla. Ed è proprio questo crescendo di pazzia che la porta all’epilogo finale, “suggerito” proprio dalla mamma che fisicamente esce da un armadio e le mostra la strada da percorrere.
Il testo di Annibale Ruccello è misterioso e intenso ma forse racchiude i difetti principali dello spettacolo: non risulta troppo credibile che l’oca iniziale sia in grado di uccidere i propri figli, anche perché lei puntualmente ad ogni persona che incontra propone di mostrare le foto dei suoi pargoli e più volte invita i propri ospiti a fare silenzio per non svegliarli. I personaggi creati dalla sua mente sono totalmente inverosimili e questo può anche starci, ma ci si sarebbe aspettati di vedere più profondità nella casalinga iniziale: si percepisce troppa differenza fra la prima Adriana e l’ultima. E’ anche vero che le cronache ci hanno abituato a persone “normali” che uccidono e distruggono famiglie, ma si esce dal teatro con una sensazione strana, di inverosimiglianza, che disturba un po’.
Bravissima Giuliana de Sio, che passa dal ridere al piangere, dal ballare all’essere faceta, dal preoccuparsi per i figli al rivivere parti sepolte del suo passato. Sbaglia pochissimo ed è nel personaggio fin dall’inizio, abbandonata su quella scala mentre fuma. Preziosa anche la recitazione di Gino Curcione nel doppio ruolo papà-mamma di Adriana: non si fa ingoiare dallo stereotipo napoletano urlato ma trova la sua interpretazione, specialmente nel ruolo paterno. Alti e bassi nel resto del cast, mentre la regia risulta convincente anche se con qualche scena da tagliare (come ad esempio quando Adriana prende le cipolle e le inizia a tagliare, mentre piange per la sua situazione affettiva e Arturo le chiede: “sono state le cipolle?”).