
Il teatro di Goldoni è una festa, un inno alla gioia di vivere, una potenza comica che tocca corde esposte e nascoste per esplodere in un contagio di risata e partecipazione. L’autore di Arlecchino servitore di due padroni, morto in miseria a Parigi, oggi al contrario sarebbe milionario, e forse non avrebbe osato immaginare il consenso universale che le sue opere avrebbero riscosso – in un paradosso che spesso avvolge il destino di certi artisti.
La messinscena vista al Teatro di Cascina è quella ormai mitologica di Giorgio Strehler, che non cambia nella forma, ma resta un marchingegno perfetto di incastri e trovate brillantissime, mosse, canti, danze e pantomime che sembrano non aver voglia di invecchiare. Il pubblico adulto continua a sentire lo stesso guizzo che attraversa l’infanzia, ridendo all’unisono con i bambini che afferrano la complessa facilità di quest’opera, il suo fascino tra malizia e ingenuità, costruzione e immediatezza.
Come resistere alla celebre scena della chiusura della busta, a fraintendimenti tanto semplici da risultare geniali, a momenti corali di pura coordinazione, alle mosse cristalline e volutamente disequilibrate di Arlecchino? Questa folla di gesti sembra essersi depositata nella memoria poetica del genere umano, per cui ogni generazione pare riconoscersi in una commedia che si rinnova ogni qualvolta prende vita – ovvero da circa tre secoli.
Senza una solida preparazione attorale la magia non può avverarsi, così come non può avvenire in assenza del gioco e dell’imprevisto, della precisione e delle impennate. La maschera di Arlecchino è la regina di tutta l’opera. Il volto coperto permette al corpo dell’attore di sbizzarrirsi in torsioni e impulsi, acrobazie e posture, con una voce che deve trapassare il palcoscenico. Il suo essere nel tempo presente, il vivere l’attimo, farsi beffa della morte, del caso e dell’amore, è il mix che tiene ancorati a questo personaggio immortale.
Il cast della versione andata in scena alla Città del Teatro di Cascina si difende bene e risulta efficace, anche se un po’ di scioglievolezza in più e una maggiore scansione delle battute avrebbe coronato quel sogno ad occhi aperti che è stata, ad esempio, la storica versione con Ferruccio Soleri. Ma il pubblico toscano ne ha decretato il suo successo, spellandosi le mani al momento degli applausi dimenticando, per una sera, i dolori sotto chiave.