L’Elvira di Toni Servillo

Al Piccolo di Milano un piccolo compendio di arte drammatica

Sette lezioni sull’arte drammatica da parte di Louis Jouvet, impartite a una giovane laureanda che fatica a interpretare l’addio di Elvira nel Don Giovanni di Molière. Cose realmente accadute, nel senso che le sette lezioni ci furono davvero, e furono dattiloscritte, a beneficio degli allievi delle scuole.

Le lezioni, scandite esclusivamente dalla data, insistono sulla presenza scenica, sulla prossemica, sul sentimento artefatto e sull’utilizzo della voce: nei casi più fortunati, questi elementi innervano un testo teatrale e riescono a restituirlo degnamente a beneficio dello spettatore. È questa la grande difficoltà che incontra Claudia (Petra Valentini), troppo cerebrale e controllata per dare alla sua Elvira l’enfasi che le spetta. Jouvet – un grande Toni Servillo – la esorta a non pensare troppo e a non cadere nelle secche della tecnica. Da qui, una serie di affermazioni memorabili, che Toni Servillo esplicita e al contempo applica, in un riuscito esperimento di metateatro. Inconsapevole, peraltro: le lezioni non erano pensate per finire direttamente sul palcoscenico. Fu Brigitte Jaques-Vajeman che ne ricavò una pièce: Elvire Jouvet 40 (il ’40 era l’anno in cui si tennero le lezioni).

“La tecnica che non viene dal sentimento crea banalità”, mentre il sentimento senza tecnica è noioso. Perciò l’intelligenza del teatro è un’intuizione: è un senso intelligente, capace di alchimizzare perfettamente tecnica ed emozione, rigore e tormento, regola e licenze poetiche. Toni Servillo ha tutto questo, Petra Valentini un po’ meno. E in uno spettacolo che è un piccolo compendio di arte drammatica una simile mancanza pesa ancora di più.

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