
[rating=3] Giorgio Barberio Corsetti ha portato in scena dal 20 al 24 gennaio al Teatro Bellini di Napoli il bizzarro anti-eroe nato dalla penna del drammaturgo tedesco Philipp Löhle Gospodin interpretato da Claudio Santamaria.
Gospodin è un personaggio surreale, fuori dal mondo che cerca di mettere in atto nella sua esistenza una radicale lotta al capitalismo che ha come prima regola la totale negazione del denaro che, come ripete più volte, non deve essere necessario e che lo porta a rigettare categoricamente la possibilità di trovarsi un lavoro.
Lo spettacolo si apre con un evento drammatico: Greenpeace ha portato via a Gospodin la sua unica fonte di sostentamento ovvero un lama che portava a spasso per la città raccogliendo delle mance. Il protagonista è fuori di sé e torna a casa sbraitando e blaterando quelli che per la fidanzata, interpretata da Federica Santoro, sono i soliti discorsi noiosi sulla società capitalistica e la sua disumanità, esasperata la donna lo lascia portandosi via quasi tutti i mobili della casa.
Poco dopo il suo amico artista (interpretato Marcello Prayer) gli porta via la tv per fare una video-istallazione che si chiama “tempus fuckit” e quel che rimane a Gospodin è solo un po’ di paglia comprata per il lama che utilizza come letto.
Va a trovarlo un altro amico (interpretato sempre da Prayer) che gli lascia una misteriosa valigetta ordinandogli di non toccarla per nessun motivo al mondo; essa contiene un mucchio di soldi e chi meglio di Gospodin, che dei soldi non sa proprio cosa farsene, potrebbe custodirla?
La notizia però della sua improvvisa ricchezza si diffonde velocemente e inizia un via vai di amici e parenti che gli chiedono in prestito un po’ di denaro accecati dalla smania di avere, possedere, accumulare; ma l’uomo che deve solo custodire quel denaro e non spenderlo per sé o per altri, nega i prestiti a tutti.
Nel frattempo la polizia viene a sapere che quella valigetta è stata rubata ad un pilota morto in un incidente e poiché Gospodin si rifiuta di rivelare dove si trovi l’amico che gliel’ha data viene messo in prigione dove, inaspettatamente, si compie la sua totale liberazione: lì può lavorare e sentirsi produttivo senza dover accettare soldi in cambio ma anzi ottenendo un pasto che è la migliore ricompensa a cui aspira e inoltre non deve scegliere, non deve agitarsi nel tentativo di prendere continue decisioni.
Il suo appagamento viene dal fatto che Gospodin vive in un luogo dove non c’è libertà, perché trova delle regole, trova dei confini a questo mondo folle in cui non ci sono limiti, dove apparentemente si può fare tutto ciò che si vuole, ma non è consigliabile, dove questa apparente libertà, per lui non è assolutamente libertà, come ha spiegato lo stesso Santamaria in un’intervista.
A questo personaggio così surreale si aggiunge una sceneggiatura e una recitazione altrettanto sfasata e a tratti allucinata: Santoro e Prayer cambiano continuamente vesti interpretando vari personaggi e i dialoghi sono improvvisamente interrotti da squarci narrativi in cui i due attori iniziano a descrivere, con fare concitato, quanto accade mentre Santamaria si muove sul palco mimando azioni frenetiche quali una corsa per la città, la fuga da un funerale, la spesa “da borghesuccio” in un supermercato, ecc., il tutto accompagnato da immagini che scorrono in rapida successione sui panelli posti in scena.
L’effetto è paradossale e straniante, seduti in poltrona si pensa di star osservando le azioni di un folle eppure, come commenta Corsetti, “Gospodin siamo noi, quando vorremmo mollare tutto e vivere in pace, senza il condizionamento, la pressione del guadagno… Gospodin è comico, è tragico, è adesso…”
Andare a vedere quest’opera a teatro è allora un atto liberatorio, una boccata d’aria contro tutto ciò che, senza accorgercene, ci schiaccia della quotidianità.