
[rating=2] Ritorna in scena in questi giorni al Teatro Elicantropo di Napoli la piecè di Manlio Santanelli “Disturbi di memoria” per la regia di Renato Carpentieri con Mario Porfito e Lello Serao. L’opera composta dall’autore napoletano nel 1988 ci conduce nello studio di un affermato avvocato nel quale in un pomeriggio qualunque ritorna, complice di una casuale coincidenza aerea, un vecchio amico d’infanzia. I due, un tempo compagni di scuola, hanno ormai ben poco in comune al netto di un passato che il serio e compito avvocato ha bene stipato in un cassetto della memoria e l’altro non ha gran difficoltà a rivangare, data la superficialità e la spavalderia con cui morde quotidianamente la vita che conduce.
Ci si ritrova così di fronte ad un incontro/scontro tra due sensibilità così tanto diverse da innescare un’esplosione emotiva capace di scardinare il tumulo psicologico dietro il quale, il compito principe del foro, aveva da tempo sepolto le amarezze di un’adolescenza fatta di insicurezze ed in alcuni casi, di violenza. Aperto il flusso di coscienza questo procede spedito per associazioni mentali evidenziando tutti i segni ora divenute cicatrice sul corpo dell’uomo che si ritrova ad essere.
Resta solitario sulla scena un uomo, con in mano l’aspirapolvere lasciatogli in regalo dall’amico – rappresentante di questi e di chissà quanti altri oggetti – utile forse a raccogliere e definitivamente buttar via la polvere accumulatasi sulla sua coscienza, che finalmente confessatasi, in primis a se stessa, riuscirà, forse, ad essere più libera.
Non si può che concordare con l’autore che in un’intervista rilasciata qualche hanno fa dichiarò quanto questo lavoro fosse ben misurato e privo di sbavature “senza una battuta di troppo”. Il gioco al massacro generato è infatti sempre ben equilibrato tra il dramma psicologico, che gli orrendi ricordi d’infanzia portano con sé ed il sarcasmo ed il fluente battibeccare, spesso frutto del più classico e sempre comico, slittamento di senso. Ma oltre ad essere un modo piacevole per trascorrere un serata gustando un’opera di buona fattura, non si può essere pienamente convinti sul fatto che questo lavoro possa rappresentare molto di più. Il dittico uomo sveglio, scaltro, arrogante a tratti, ma libero nel corpo e nello spirito che pungola, a sangue, la coscienza sopita, del suo simile ingrigito, impigrito ed anche per paura quasi piegato su sé stesso, non è soggetto così tanto originale. D’altro canto sono tante le cose di non assoluta autorialità che si possono ritrovare. Una per tutti, il motivo cardine del trauma del bigio avvocato constante nelle molestie subite dal prete supervisore delle attività ludiche in canonica, probabile causa di una omosessualità latente. C’è poca forza nella scelta dei temi esemplificativi nel narrato così come nella conseguente riflessione, dei personaggi e di conseguenza del pubblico.
La messa in scena curata da Renato Carpentieri, non essendo invasiva e donando alcune note di colore e di chiaro scuro, rende l’insieme molto gradevole. Di grande rilievo risultano infine, Mario Porfito, interprete del commerciale Severo De Angelis e Lello Serao, nei panno dell’avvocato Igino Venturi. Maestria e misura, frutto di anni di lavoro in teatro e cinema, restano così le cifre di questa messa in scena.