
Trentamila persone in attesa, le luci che si calano su piazza Plebiscito, qualche schermo del cellulare a sostituire i vecchi accendini accesi, sale sul palco l’orchestra mentre iniziano ad essere proiettare sullo sfondo le fotografie di Antonio Biasucci.
Il pubblico è in silenzio, aspetta, entra in scena l’attrice Imma Villa che recita un brano di Ingeborg Bachmann, ma non è per lei, nonostante l’indiscutibile bravura, quell’attesa.
Luci spente, Villa esce, entra lui, con codino e giacca rossa, l’Eletric Band e gli archi della Symphony Orchestra, guidati da Carlo Guaitoli attaccano a suonare “L’era del cinghiale bianco” e Franco Battiato inizia a cantare aprendo con il concerto Luce del Sud la decima edizione del Napoli Teatro Festival.
“Benvenuti”, dice quando finisce la prima canzone e poi di seguito attacca “Up Patriots to Arm”, “No Time No Space”, “Shock in My Town”. Tre canzoni politiche, di protesta, a cui il pubblico fa da coro accorato urlando, arrabbiato, “com’è misera la vita negli abusi di potere” canta Battiato mentre la folla lo segue con trasporto.
“Muchas gracias” dice dal palco, forse ricordando quella radice ispanica che il popolo partenopeo conserva ancora. E’ il momento di “Le nostre anime” (“Una canzone che farà piangere alcuni di voi, lo so!” dice divertito) e “I giardini della preesistenza” sussurrate, intime, che placano gli animi quel tanto che basta prima di tornare all’attacco con “Povera Patria” (“Tra i governanti / quanti perfetti e inutili buffoni”) e “L’animale”.
Esulta Battiato mentre il pubblico è sempre più carico, ma qui si ha di nuovo il cambio di rotta con la struggente “La canzone dei vecchi amanti” di Jacque Brel, durante la quale è inutile trattenere le lacrime, tutt’al più si trattiene il respiro sopraffatti dall’emozione.

È il turno del poeta Mimmo Borreli che recita concitato Giambattista Vico. Dieci minuti di poesia per poi lasciare di nuovo il posto al padrone di casa della serata che punta dritto al cuore delle trentamila persone presenti suonando una dopo l’altra la dolcissima “La stagione dell’amore” e l’indimenticabile e attesissima “La cura” (“Questa la vorrei proprio saltare”, confessa Battiato prima di cantarla). Sale sul palco Fabrizio Gifuni con un brano di Auden per poi lasciare di nuovo il palco a Battiato che dà voce al suo lato più techno-pop, quello che gli valse la nomina di avanguardista decenni fa e fa ballare tutti con “Cuccuruccucù”, “Centro di gravità permanente” e “Voglio vederti danzare”.
Sono le 23.10, l’ultima canzone finisce e il palco si spegne, Battiato esce di scena ma la platea non si muove di un centimetro sapendo (sperando) che sia solo un “arrivederci” e non un “addio” e di fatti il cantautore riesce e lo fa col botto, attaccando una canzone cara a tutti napoletani, la mai dimenticata “Era de maggio”, già presente nel disco del cantante “Fleurs” del 1999.
“Sono distrutto!” dice rivolto al pubblico e attacca con “E ti vengo a cercare”, “Ancora una” sussurra, giocando stavolta in casa, con la sua siciliana “Stranizza d’amuri”. Segue uno scroscio di battimani, che più che un “Bravo” sa di un “Grazie” per l’incredibile spettacolo a cui si è appena assistiti. Battiato augura la buonanotte e se ne va, con la giacca rossa e il passo cadenzato con cui era entrato.
Certo non tutto è stato perfetto, ma nemmeno si può richiedere l’assoluta perfezione ad un evento di una tale portata, che è inevitabilmente soggetto ad imprevisti, ad esempio l’acustica non ottimale e alcuni disagi causati dal numero elevatissimo di persone che assistevano al concerto.
C’è chi poi non si è lasciato sfuggire nemmeno qualche piccola distrazione del Maestro, che ha saltato qua e là qualche strofa riacciuffato sempre con grande abilità dall’orchestra, ma la verità è che ieri qualcosa di assolutamente magico è avvenuto in quella piazza e che di fronte ad un talento così consapevole, così sobrio quale quello di Battiato, che ha suonato per il pubblico e non per se stesso, che nemmeno per un attimo ha provato a fare dell’autopromozione dei suoi ultimi (dimenticabilissimi) lavori e ha invece emozionato con le canzoni con cui generazioni intere sono cresciute e hanno ballato, ogni difetto, ogni errore, si dissolve e resta solo la consapevolezza di essere stati testimoni di un momento unico.
E se questo non era che l’inizio del Napoli Teatro Festival, c’è da aspettarsi grandi cose per questa edizione che si preannuncia ricca, coinvolgente e “popolare” come l’ha definita Ruggero Cappuccio, direttore della manifestazione, termine “inteso non come facile consenso bensì come crescita interiore delle persone”.