
Sabato 2 febbraio al Teatro Puccini di Firenze arriva la verve di Silvia Paoli, accompagnata strumentalmente dalle musiche dal vivo di Francesco Canavese, nello spettacolo Livia – facciamo che io ero morta tu eri un principe mi davi un bacio e rivivevo.
Due bambini giocano in giardino con delle tartarughine e uno dice all’altro: “Facciamogli fare l’amore!” e l’altro risponde: “Oh, si!.. Ma come le spogliamo?”
Lo spettacolo Livia potrebbe forse essere riassunto solo da questa frase, che racchiude la poesia e l’ironia di un mondo che si scopre facendosi, che nella semplice esperienza delle cose trova la sua contraddizione e la sua bellezza.
Credo che proprio nella normalità, nel quotidiano, si nasconda il segreto, l’originalità e lo stupore che spesso dimentichiamo nel nostro affannarci ad essereoriginali, ad evitare la banalità.
Avevo bisogno di parlare di donne senza che la protagonista del monologo fosse una vagina o una vedova, un’aspirante suicida o una supereroina.
Livia è una persona normale, fa la maestra in un asilo, non è particolarmente bella né particolarmente brutta, ha una cultura media, è una single che aspetta il Principe Azzurro.
Silvia Paoli
Insomma, niente di nuovo, se non il fatto che Livia la propria quotidianità la racconta a modo suo; ed il suo è un modo comico, poetico e disarmato quando il suo stupore e la sua meraviglia toccano la vita di tutti i giorni, quando la sua sensibilità si incrocia con quella degli altri.
È il nostro mondo, quello delle frasi fatte, dei vestiti alla moda, della paura di essere sbagliati, raccontati da una donna che osserva e vive cercando di stare al passo ma trovandosi sempre in qualche modo inadeguata rispetto a quello che la socialità le richiede con regole di stile e di
comportamento.
In scena un’attrice ed un musicista; le canzoni intersecano la narrazione e diventano quasi un rifugio demodé, lasciano intravedere la verità della protagonista, quel bisogno di intimità e amore che sta nel cuore di Livia; la musica accompagna, commenta e suggerisce, è un linguaggio che affianca la parola, non sottolinea ma crea, in un dialogo a volte stridente a volte conciliante che non lascia mai soddisfatti, che non appaga ma apre spazi da riempire con le immagini che ognuno si porta addosso.
Maggiori informazioni: www.teatropuccini.it