
Apertura di stagione quanto mai attesa quest’anno per l’ente Arena di Verona: attesa perché forse sancisce un nuovo inizio dopo i turbolenti mesi di commissariamento, attesa perché si apre con una nuova produzione (cosa che non succedeva ormai dal 2013) e attesa perché questo allestimento si annunciava particolarmente intrigante viste le anticipazioni sulla regia di Arnaud Bernard e le scene di Alessandro Camera.
Da qualche tempo, sul sito di Arena campeggiavano infatti alcuni rendering per la realizzazione delle scenografie di questo Nabucco che ci hanno fatto ben sperare in una lettura dell’opera verdiana originale: qualcosa che non fosse il decoro didascalico ad un testo ormai noto anche alle pietre dell’anfiteatro romano. Che la prima di stagione fosse tanto attesa lo ha dimostrato la grandissima affluenza di pubblico che gremiva la piazza già in tardo pomeriggio nonostante il caldo notevole e che ha riempito l’arena quasi fino al massimo della capienza in ogni settore: pochi infatti i posti disponibili a qualche ora dall’inizio.
La lettura del capolavoro verdiano di Arnaud Bernard, ci propone quasi un gioco di ruolo: per prima cosa scardina tutto il testo da racconti e tempi biblici e lo traspone durante le cinque giornate di Milano portandoci nel cuore della musica verdiana: il risorgimento. Che fine fanno allora “Belo”, “Israello” e “Sionne” in una lettura del genere? Sono nel cuore di chi ascoltava quella musica quando questa veniva suonata per le prime volte, quando riempiva le piazze con gli organetti, i salotti con le spinette, quando il “Va, pensiero” era davvero l’inno dell’unità d’Italia, della sua rinascita e rivincita. Bernard ci chiede di lasciare fuori dal teatro tutto quello che sappiamo di Verdi o delle profezie bibliche e ci sveglia da subito con un fischio. Già, perché il NABUCCO di Arnaud non inizia con gli accordi che conosciamo della sinfonia, ma con il rumore dei passi di un manipolo di bimbi vestiti da rivoltosi e con il suono dei loro fischietti: anch’essi infatti sono coinvolti nel costruire la loro Italia. Si voglia o no, il regista francese ci ha dato lezione, come dicendo: “Sveglia! Amate il vostro paese perché è da qui che venite!”. Non si è trattato semplicemente di attualizzare il testo facendone un esercizio di stile ma di aiutare il pubblico a capire perché NABUCCO e il suo amatissimo coro è entrato nel nostro sangue.
Lo spettacolo funziona a meraviglia, scorrono tre ore e mezza in un lampo. Da subito si entra in questa sorta di immedesimazione e non cerchi più chi rappresentino gli austriaci, chi i milanesi, cosa rappresenti Milano con i suoi “sacri luoghi”: lo sai, lo capisci perché lo senti come se fossi uno di loro. Il fatto che Aranud Bernard sia anche musicista gli ha permesso di costruire uno spettacolo che è perfettamente intessuto nella partitura, colpi di cannone compresi. Ogni cosa viene curata con estrema precisione e senso di realismo con controscene perfette e studiate a tavolino. In ogni parte dell’enorme palcoscenico il racconto prende vita e forma, ogni comparsa ha la sua psicologia e la porta in scena. Non voglio svelare troppo su questo spettacolo perché è giusto goderselo di persona fino alla fine.
Arnaud Bernard vince, ma vince facile. Dopo tanti anni di “non idee” finalmente in arena se n’è vista una che funziona. Dopo tanti anni, uno spettacolo che abbia davvero il senso di spettacolarità, troppo spesso si confonde l’idea di “scenografia” con quella di “regia”. Quindi il bellissimo impianto scenico, felicemente disegnato da Alessandro Camera, lungi dall’avere un ruolo contemplativo, aiuta la narrazione rendendola cinematografica. L’enorme teatro alla Scala, magnificamente riprodotto sulla scena gira su se stesso dando vita a continui cambi a scena aperta, permettendo una narrazione coerente e fresca. Davvero si intuisce nella scenografia, oltre al senso di gioco, di fantasia, creatività anche un’italianità tipica fatta di inventiva e gusto al tempo stesso. Applausi a scena aperta sono stati tributati allo spaccato interno del teatro scaligero che riproduce parte del proscenio, della platea e dei palchi fino al loggione. Niente però è fine a se stesso.
A tanto spettacolo teatrale manca una controparte musicale di pari livello. La direzione ispirata del maestro Daniel Oren, che qui celebrava il suo quarantacinquesimo titolo areniano, manca tuttavia di una vera idea, o meglio se anche un’idea c’è non ha sotto la propria bacchetta elementi adatti a darne una corretta lettura. Il Nabucco di George Gagnidze non convince, manca dell’incisività necessaria a rendere il personaggio , sebbene la voce abbia mezzi ragguardevoli. Convince sicuramente nelle parti più liriche e trova quindi nell’aria “Dio di Giuda” l’apice della sua interpretazione. Ma un ruolo come Nabucco, così difficile da rendere plausibile, deve essere risolto in ogni suo risvolto. L’idea che ho avuto è stata quella che fosse in difficoltà a causa dalla messa in scena, forse non capendone il senso e rendendo così il proprio personaggio evanescente. Stanislav Trofimov, nel ruolo di Zaccaria non va molto meglio: possiede una bella voce ma fatica parecchio nella gestione dei fiati specie nei momenti più concitati, come la prima cabaletta che lo ha trovato particolarmente in difficoltà. Completamente fuori ruolo Walter Fraccaro in quello ingrato di Ismaele.
Passando alle donne la cosa non migliora, anzi. Tatiana Melnychenko non è sicuramente Abigaille, e giustamente alla fine della recita è stata accolta da qualche contestazione. La voce è bella ma manca una vera comprensione del canto virtuosistico di forza. Penso che in generale vi sia il luogo comune che le cantanti dell’est abbiano volume, forza, agilità ma spesso non è così. La signora Melnychenko ha voce di soprano lirico, nemmeno spinto, tanto meno non drammatico d’agilità, sempre sommaria e irrisolta. Al di là delle gravi lacune vocali, davanti alle quali una professionista dovrebbe ammettere di dover cambiare repertorio, la cosa che proprio stona è l’interpretazione scenica, e non mi riferisco alla mole della signora, vi sono cantanti ben più impegnative da questo punto di vista ma che sanno convincerti completamente. Il soprano si muove goffamente, altro che farci pensare ad una principessa! Tutto questo si riflette inevitabilmente anche sulla linea di canto. Ottima la prova di Carmen Topciu in Fenena, che in simile contesto non fatica a brillare, voce dolce e ben posta convince anche scenicamente. Buone le prove di Romano Dal Zovo e Paolo Antognetti nei rispettivi ruoli di Gran sacerdote e Adballo e ottima anche Madina Karbeli nel difficile e “nascosto” ruolo di Anna, che in quest’opera doppia anche tutta la parte di Abigaille nei insieme.
Buona la prova dell’orchestra, anche se l’ho apprezzata maggiormente nella stagione invernale e buono il coro. Ottimi i tanti figuranti e perfetto il lavoro dei macchinisti che giustamente sono stati chiamati dal regista in proscenio a raccogliere meritatissimi applausi da un pubblico festante.
Ci auguriamo tutti che davvero questo sia un nuovo inizio per l’Arena , che abbia voglia di sperimentare verso spettacoli che riescano sempre di più ad incontrare un nuovo pubblico investendo in nuove tecnologie. L’anno prossimo sarà la volta di un nuovo allestimento di Carmen ad aprire la stagione. Speriamo, però che col tempo si abbia voglia di rischiare anche in titoli meno frequentati ma di grande appeal; frequento Verona ormai da ventiquattro anni e ogni volta che esce il cartellone mi chiedo – Cosa posso andare a sentire di nuovo? Fino ad ora la risposta è stata: niente!