
[rating=5] Il secondo appuntamento dell’inedita stagione operistica della Société d’opéra Coin du Roi ha confermato l’impareggiabile qualità della messinscena, della ricostruzione filologica e dell’esecuzione musicale di questi giovani talenti.
Per la prima volta in Italia abbiamo potuto assistere alla rappresentazione filologica in forma scenica dell’esordio operistico del giovanissimo Mozart. Apollo et Hyacinthus, composta a 11 anni dal prodigio austriaco, nacque come intermezzo del dramma in prosa Clementia Croesi in occasione del saggio di fine anno del ginnasio benedettino di Salisburgo, in lingua latina. Una commissione impegnativa per un compositore bambino, che tuttavia il giovane Wolfgang Amadeus soddisfò appieno inaugurando così la sua irresistibile ascesa all’olimpo della musica.
Il testo, di padre Rufinus Widl, è una rilettura moraleggiante e cattolica del mito classico di Giacinto. La trama lineare e semplice, la metrica costruita su un lessico ed una sintassi quasi prosaiche e la mancanza di vere e proprie tensioni, rendono il libretto non particolarmente affascinante e causa, forse, della scarsa fortuna dell’Apollo et Hyacinthus.
Christian Frattima, direttore artistico di Coin du Roi e maestro concertatore dell’Apollo, nel saggio proposto all’interno del programma di sala ci informa del lavorio di rilettura filologica del testo latino. La scelta è quella di una pronuncia ecclesiastica germanica, quella più probabilmente usata dai benedettini salisburghesi di fine ‘700. A dire il vero permane qualche imprecisione nell’accentazione corretta delle quantità, di cui è colpevole lo stesso Mozart, e qualche incoerenza da parte dei cantanti, il risultato è ad ogni modo una conquista inedita nel panorama mondiale delle ricostruzioni filologiche.
Frattima ha voluto cimentarsi, come aveva fatto col Serse di Händel, soprattutto nella ricostruzione della partitura originale, recuperando i manoscritti e ripulendoli dalle sedimentazioni della tradizione. Il maestro Christian Frattima ci ha offerto così un Apollo et Hyacinthus mai ascoltato prima, forse il più vicino alla prima del 13 maggio 1767. La ricostruzione perlopiù ex novo delle fioriture, degli abbellimenti, delle cadenze e dei recitativi è stata tutta improntata alla ricerca delle volontà dell’autore, basandosi su criteri interni ed esterni all’operina che sapessero rendere la vivacità di questo capolavoro.
Due scelte di Frattima soltanto, per sua stessa ammissione, si discostano dall’esecuzione originaria. Primo, il novero, il sesso e l’età delle voci: mentre nell’originale erano previsti cantanti maschi giovanissimi e il coro iniziale doveva essere composto dalle voci dei protagonisti più due bassi, Coin du Roi fa esibire cantanti di ambo i sessi (soprani e contralti sì giovani, ma non voci bianche), e nel prologo canta un vero e proprio coro professionista. Secondo, l’armonizzazione del basso continuo: Christian Frattima ha concertato un basso continuo con clavicembalo, violoncello e riducendo gli interventi di fagotto e contrabbasso, interpretando a suo modo lo stile galante del giovane Mozart.
Il risultato rimane tuttavia coerente, bello e “scientifico”.
Senza alcun demerito e degna di sola ammirazione l’esibizione della giovane orchestra. Talentuosi tutti gli interpreti. Nel ruolo protagonista, Hyacinthus, si è esibita la brava e bella soprano Vilija Mikstaite, precisa, puntuale ed efficace nelle sue brevi ma incisive parti. Avevamo già potuto lodarne le qualità nel Serse, sempre en travesti nel ruolo eponimo.
Meno convincente l’Apollo di Alessandro Giangrande, che ha cantato in falsetto la parte da contralto. A tratti non pulitissimo e incerto, comunque di ottima tecnica e con un registro ragguardevole. Bravo attore.
Molto bene Valeria Girardello, contralto, a chiusura di un triangolo amoroso “proibito” e morboso nei panni maschili di Zephyrus. Pur peccando nella dizione ha saputo fornire ottima prova di sé in un personaggio ambiguo ma di belle linee vocali.
Ha incantato il pubblico Melia, la giovane e bella soprano Elina Shimkus, con voce sicura e piena, un timbro angelico e un’eccezionale prestazione tecnica. Spogliata sul palco dalle scelte di regia riesce a interpretare il ruolo di ingenua ma conturbante giovanetta con piglio sicuro e buona recitazione.
Bene anche il tenore Graziano Schiavone, Oebalus, con voce squillante e chiarissima, di cui ha calibrato la potenza forse al ribasso, risultando anche più sottile di quanto avrebbe potuto richiedere il suo personaggio. Brevissimo il contributo iniziale del coro Ars Cantica Choir, diretto dal maestro Marco Berrini, impeccabile e preciso, un ottimo incipit.
Ancora un volta Coin du Roi ci ha offerto un’esecuzione filologica per un allestimento innovativo. La regia di Alessio Pizzech, con i costumi di Davide Amadei e le luci di Nevio Cavina, stralcia ogni intenzione di rievocazione mitologica anticheggiante e ci trasporta in una contemporaneità indefinita. Se nelle note di regia Pizzech ci informa della sua ispirazione nella Gipsoteca Canova di Possagno dell’architetto Carlo Scarpa, è però evidente che i costumi “fashion-sportswear” (così descritti nel programma di sala) di tutti i personaggi e dei mimi ambientano la storia in una sorta di club sportivo.
Tutti i personaggi sono vestiti o svestiti completamente in bianco candido mentre sembrano cimentarsi tra campi da tennis e piscine sportive. La sola nota stonata è Apollo, agghindato in oro da volgarotto arricchito di provincia: una lettura dissacrante e umoristica della divinità classica. In tutto quel bianco l’attenzione per metà opera è solo su Melia, seminuda sotto un velo nero.
Il pallore delle luci e i giochi geometrici delle ombre contribuiscono a straniare la scena e renderla astratta, quasi impalpabile. Forte e riuscita è la dicotomia e la tensione con la gestualità provocante, erotica, sentimentale richiesta alla recitazione dei cantanti.
L’idea generale tiene e funziona, riporta sulla terra, ma in astratto, una trama edulcorata in cui gli ancestrali miti greci erano stati moralizzati dall’intervento catechistico di padre Widl. Divinità e mondanità si incontrano, si fraintendono e si riappacificano dopo un efferato delitto che rimane un’assurda malvagità. Una regia che coglie tutti gli aspetti psicologici, antropologici e simbolici della storia e della musica dell’Apollo et Hyacinthus, e che pure non lascia perfettamente soddisfatti. I costumi dei personaggi, sebbene ne salviamo l’intuizione, non costruiscono un insieme coerente: troppo sbruffone Apollo, troppo ragazzino Zephyrus, un poco fuori luogo Oebalus e tutti da spiegare i due nuotatori in scorta al feretro di Hyacinthus. Se nell’interpretazione si fossero cimentate delle voci bianche, come da spartito originario, il risultato sarebbe stato decisamente troppo comico.
Nell’insieme lo spettacolo può dirsi pienamente riuscito: per la seconda volta Coin du Roi marca con successo la storia del teatro, portando in Italia una première filologica e scenica degna del prestigioso palco milanese. Da notare che durante i suoi soggiorni meneghini è certo che il giovane Mozart fosse stato ospite di Casa Litta ed è dunque assai probabile che si sia esibito nello stesso Teatro Litta che oggi gli rende omaggio.
Ancora un volta da segnalare il pregevole ed elegante programma di sala, voluminoso, preciso e puntuale, ricco di ogni nota e informazione. Raffinato e gustoso anche il buffet “classico” offerto agli spettatori da Coin du Roi durante l’intervallo.
Ci dobbiamo aspettare una degna chiusura della stagione operistica di Coin du Roi con il dittico Pergolesi, La serva padrona e Livietta e Tracollo, previsto in cartellone sempre a Palazzo Litta dall’11 al 13 dicembre 2015.