
Un meraviglioso, nella piena accezione etimologia della parola ovvero carico di meraviglie, Doktor Faust di Ferruccio Busoni firmato Livermore torna a Firenze dopo cinquantanove anni e ammalia letteralmente il pubblico del Maggio Musicale Fiorentino.
Vero e proprio testamento musicale, a tratti definito “melodramma sinfonico” per la potenza indiscussa dell’orchestrazione, l’opera ebbe una genesi lunga, complessa e tormentata di ben 12 anni, e rimase incompiuta per la morte del compositore. Ferruccio Busoni, considerato una “personalità di confine” per le sue due identità, italiana e tedesca, con il Faust si volta definitivamente all’ambito germanico, ma non lo fa ispirandosi a Goethe, la figura più alta della letteratura tedesca, bensì agli spettacoli di marionette, ovvero i Faustschauspiele e Faustpuppenspiele di genere popolare ingenuo e meraviglioso, i cui ingredienti fantastici, magici e spettacolari fin da piccolo lo avevano affascinato. Questo gli permette di prendersi numerose libertà narrative e stilistiche per la stesura del libretto, che si rispecchiano già nei titoli dell’opera, dalla forma a “pannelli”, quali i due Prologhi (nel primo riceve il libro esoterico dai tre studenti di Cracovia, inviati demoniaci, nel secondo evoca gli spiriti e firma il patto con Mefistofele); l’Intermezzo scenico per l’episodio nella chiesa; l’Azione principale per i tre quadri conclusivi, dalla festa a Parma fino alla morte e rinascita di Faust. Busoni reinterpreta il Faust come un personale dramma creativo, che, a causa della sopraggiunta malattia e quindi morte, non riuscirà mai a concludere. Sarà prima il suo allievo Philip Janarch (versione più utilizzata, come per questa occasione) e successivamente Anthony Beaumont, a completarla. Proprio come i non finiti michelangioleschi, forse anche in questa sua incompiutezza si può leggere tutta la bellezza della sua identità estetica.

Davide Livermore riprende così questa forte identificazione dell’autore con l’opera, riproponendo il ritratto di Busoni come maschera in tutti i personaggi, sfaccettature psicoanalitiche di un introspezionismo intimo: buona l’idea, soprattutto per i due personaggi principali, Faust e Mefistofele, che si guardano a specchio come facce di una stessa medaglia, ma il cui uso pressante si fa in ultimo un po’ ridondante. Per il resto la regia risulta visionaria e dal grande impatto visivo, ben orchestrata e di maggior coerenza rispetto alla Traviata in scena nelle stesse settimane. Davvero spettacolari i video tridimensionali ad alta definizione della premiata ditta D-Wok, sul grande Led wall che chiude il palco, insieme alle pareti specchianti delle scene di Giò Forma dalla grande suggestione.

Qualche perplessità sulla scelta registica di ambientare l’Intermezzo scenico in un obitorio piuttosto che in una chiesa, con tanto di pattuglia militare trasformata per l’occasione in troupe di medici pronti, sotto la mano mefistofelica, ad uccidere il soldato giunto a vendicare la sorella sedotta ed abbandonata da Faust.
Tra le scene più evocative e suggestive sicuramente la festa alla corte di Parma, centro architettonico e simbolico dell’opera stessa: in tono i costumi a festa realizzati da Mariana Fracasso per il coro che entra con schiamazzo dalla platea, sorridendo festoso al pubblico, ricchi e sontuosi quelli della Duchessa e del Duca. Sobrio Faust, all’opera su un nero pianoforte, da cui emerge il lussurioso satiro che risveglia il desiderio della Duchessa. Fascinosa la scena finale dove Faust e la Duchessa, in estasi amorosa, fuggono sul pianoforte librandosi nel cielo stellato.

Buona prova per il cast, da cui emerge il Faust di Dietrich Henschel, dalle grandi doti attoriali ed un importante impegno vocale, che trasuda ora il dubbio metafisico, ora il tormento esistenziale, fino al dualismo tra perdizione e salvazione. Più sottotono il diabolico Mefistofele di Daniel Brenna, forse per il preannunciato mal di gola, con un’entrata rotta sugli acuti, meglio nelle scene successive. Ottima prova per la Duchessa di Olga Bezsmertna, dal bel timbro pieno e luminoso, perfetta nel delineare dubbi e passioni dell’unico personaggio femminile dell’opera. Bene anche Joseph Dahdah prima nei panni del soldato desideroso di vendetta, quindi in quelli del duca di Parma, dalla buona presenza scenica e vocale. Buona anche la prova di tutti gli altri interpreti: Wilhelm Schingammer (Wagner e Maestro di cerimonie), Florian Stern (Tenente e Studente di Wittenberg), Martin Piskorski (Studente di Cracovia e Studente di Wittenberg), Marian Pop (Studente di Cracovia e Studente di Wittenberg), Lukas Konieczny (Studente di Cracovia), Dominic Barbieri (Teologo e Gravis), Marcell Bakonyi (Giurista e Levis), Zachary Wilson (Naturalista e Asmodus), Franz Gürtelschmied (Studente di Wittenberg e Beelzebuth), Ewandro Stenzowski (Studente di Wittenberg e Megäros), Mariia Kokareva, Olha Smokolina, Aleksandra Meteleva (Voci di donna).

D’impeto la direzione incisiva di Cornelius Meister perfettamente seguito dall’Orchestra del Maggio Musicale in ottima forma, che spicca nella superba Sarabande, l’intermezzo sinfonico che separa i primi due quadri dell’Azione principale.
Pubblico medio in sala per l’ultima replica, che ha accolto lo spettacolo con grande calore e partecipazione, tributando un meritato successo.