Autore Vs Editore: Odi et amo

Ugo Mursia: “Questo è il libro che avrei voluto scrivere io”

In Italia si pubblicano sette libri all’ora, se ne comprano meno di tre l’anno. Partiamo da questa  realtà per intraprendere un viaggio tra il rapporto che intercorre tra l’editore e lo scrittore esordiente.

A guidarci sarà l’Agenda dello scrittore AVALON di Giorgio Maremmi, editore fiorentino. Un libro tagliente, pervaso dal cinismo, un’interessantissima analisi sul mondo editoriale odierno da leggere con il sorriso, anche se un po’ amaro.

Maremmi senza peli sulla lingua precisa: “L’editore, come un qualsiasi altro imprenditore, pubblica libri per venderli e per trarne profitto, e non gli importa niente degli autori”. Una frase sicuramente forte, che abbatte tutte le speranze di appellarsi in nome della cultura. Continua: “All’editore non importa niente dell’autore finché non lo interessa la sua opera. Per lui ha importanza soltanto una cosa: che un libro sia di sicuro smercio, o che come minimo abbia in partenza più che buone possibilità d’essere venduto.

Quando Maremmi parla di editore, si riferisce alla categoria in generale, non include se stesso nel menefreghismo nei confronti degli autori, certo emerge il suo pragmatismo ed è un attento calcolatore, ma è a capo di una casa editrice indipendente che cerca di destreggiarsi tra gli squali della grande editoria. Cerca di non sottomettersi alle logiche perverse di un mercato decadente, in cui vendono le barzellette di Totti, le notti brave di Berlusconi, o le scene lesbo della Tommasi con la sorella di Balotelli in “Ora basta, parlo io”, perché qualcuno crede sul serio che la Tommasi abbia qualcosa di intelligente da dire? Eppure questi libri servono i “lettori” del mercato italiano.

A proposito di lettori. Ma tutte le persone, sempre maggiori, che si dilettano nella scrittura, non dovrebbero essere loro i primi lettori forti? Non dovrebbero attingere avidamente dalla letteratura e imparare, arricchirsi, sognare? Il divario tra chi scrive e chi legge è una voragine assurda, il numero dei lettori dovrebbe superare quello degli scrittori o essere più o meno uguale. Invece, chi scrive, spesso si guarda bene dal leggere per “non essere influenzato” e poi ci propina l’ennesimo volume a prender polvere sullo scaffale.

Le milioni di copie invendute vanno al macero, riporta Maremmi, e quelle non ancora rilegate vengono utilizzate come carta da pacchi per spedire altri libri. Le storie che con tanto impegno sono state messe su carta, vengono smembrate per avvolgere altre storie, c’è un che di affascinante in tutto questo, ma c’è anche del dolore.

Lo scrittore esordiente, farebbe bene a consultare i cataloghi degli editori prima di mandare indistintamente il proprio manoscritto. Dovrebbe capire che il più delle volte non ha in tasca il prossimo pilastro della letteratura. La prima cosa importante è approcciare con umiltà, perché l’autore e l’editore, in fondo, vanno nella stessa direzione, seppur con motivi diversi.

Molti autori, purtroppo, peccano di presunzione, puntano il dito contro l’editore perché non promuove abbastanza il loro libro, perché richiede un contributo, perché sostanzialmente, dal loro punto di vista, non sa fare il proprio mestiere avendo tra le mani un grande capolavoro. Ma non è nell’interesse dell’editore, primo su tutti, vendere i libri che sceglie di pubblicare? Qualcuno non la pensa così: “Ho collaborato economicamente alla pubblicazione del mio libro e non sono diventato famoso. Il mio editore è un ladro e un truffatore.

L’editoria a pagamento è un argomento controverso. L’editore è un imprenditore che si assume il rischio di impresa, ogni volta che pubblica, infatti, non sa effettivamente quante copie venderà, a meno che non ci siano accordi precedenti di acquisto dell’opera da parte di terzi.

È giusto contribuire economicamente alla pubblicazione del proprio manoscritto?

Se un editore è in difficoltà e fa una proposta del tipo “veniamoci incontro”, si avvale di un principio contenuto nella Carta dei Diritti del Lettore (sancita dall’Unione Internazionale degli Editori e di altri Operatori del Libro), che recita: “Gli editori devono usare la loro esperienza e la loro capacità in modo da pubblicare ogni genere di libro, cercando se necessario sostegno finanziario nel caso che la pubblicazione fosse altrimenti antieconomica”.

Teniamo a mente alcune cose: “Il Direttore generale di un ministero che fa acquistare migliaia di copie del suo libro dall’Ente per le Biblioteche Popolari; un presidente della Repubblica che propone la sua biografia procurando all’editore (poi, nonostante tutto fallito) incredibili finanziamenti; la Regione autonoma che privilegia un editore (a scapito degli altri editori) con l’acquisto di libri in quote molto maggiori di quelle consentite…”.

Teniamo a mente i cataloghi dei grossi editori in cui pullulano libri dei segretari di partito, calciatori, cantanti, borghesi prostitute e chiediamoci se tutti questi personaggi sono davvero dei letterati, e se lo sono, dobbiamo passare dal mondo dello spettacolo, dalla cloaca della politica, dalla televisione, per essere considerati “letterati di razza”, come li chiama Maremmi?

Chiediamoci anche, se è più dignitoso pubblicare grazie a qualcuno che ci raccomanda, che investe somme di denaro per farci ottenere l’edizione oppure se investire i nostri soldi. Dov’è la differenza? Quale scrittore è più patetico, quello che rinuncia, quello che paga, quello che si fa raccomandare? Chi vince in questa lotta in cui abili manovratori muovono le pedine dei giornali e dei grandi editori concedendo loro grossi contributi statali.

E ancora: “Non solo i nuovi scrittori, per le vie normali, non riescono a pubblicare, ma – e questo è il bello – con le tasse sono costretti a finanziare, per inique leggi dello Stato, gli editori che di loro non vogliono saperne, e a diventare così gli editori dei loro più acerrimi nemici: gli scrittori e gli intellettuali e i passacarte delle varie cosche letterarie, ideologiche e politiche.

C’è da dire, inoltre, che moltissimi editori pubblicano consapevolmente libri che saranno in perdita. Il loro guadagno, infatti, è nella richiesta di un contributo all’autore. A quel punto, se l’opera vende, bene, altrimenti il profitto è già stato fatto. Un editore che chiede migliaia di euro a un ragazzo che tira fuori il famoso “sogno nel cassetto”, come pensa di riprendere le altrettante migliaia di euro dalle vendite, se in partenza chiede soldi sul presupposto che quel libro non venderà? Se la commerciabilità è dubbia, si può anche non pubblicare.

Molti altri, agghindano le loro vetrine con messaggi subliminali del tipo: “Crea e stampa subito il tuo libro! Decidi tu il prezzo!” e altri specchi per le allodole. Ok, stampo il mio libro, decido la copertina, nessuno mi dice che devo riscrivere un personaggio o cambiare quella parola, decido anche il prezzo, che figata. Peccato che chi scrive, la maggior parte delle volte non ha competenze di marketing e conoscenza del mercato editoriale tali da stabilire un prezzo di copertina. Non è un grafico, non è un venditore e nemmeno un distributore. Come promuoverà il suo libro?

È anche vero, che se per pubblicare con un editore, un ragazzo giovane deve spendere cifre consistenti per riempirsi la casa di libri che lui stesso a scritto, sbattersi per venderli, tanto vale pubblicarli on line a molto meno, alla fine offrono entrambi un servizio di stampa. Potremmo definirli editori-tipografi. Credo che nessuno sia così megalomane da pensare di poter guadagnare con il suo libro, ma penso che tutti siano d’accordo a non rimetterci.

Ma se l’autore non è disposto a rischiare, perché dovrebbe esserlo l’editore? Non è mica il Fatebenefratelli. No, non lo è, ma investire nei libri è il suo mestiere, potrebbe obiettare qualcuno. Piergiorgio Nicolazzini, agente letterario dell’omonima Literary Agency, per esempio, commenta: “chi stampa i libri facendosi pagare dagli autori esordienti non è un editore, perché l’editore vero è un imprenditore della cultura che deve credere in un libro, rischiarci di suo, magari anche poco inizialmente[1].

Nell’ampio panorama editoriale è difficile giudicare chi è in buona fede e chi no. È bene precisare, che l’editore, insieme all’autore, è quello che trae meno profitto dalle vendite.
Si riporta di seguito la tabella, tratta da AVALON, a titolo esemplificativo.

Secondo Maremmi, in Italia, un editore non può sopravvivere pubblicando a proprie spese opere di nuovi autori e si domanda: “Come può ottenere sostegno finanziario, ma restare libero e autonomo nelle scelte e nell’organizzazione?”.

E uno scrittore esordiente, quale soddisfazione può trovare nel pubblicare la propria opera dietro pagamento? Non è analogo al personaggio dello spettacolo che paga un editore importante? Chi, invece, ha voglia di confrontarsi con il mondo editoriale, di trovare qualcuno che creda nella sua opera facendosene carico perché ne riconosce un merito, a chi si deve rivolgere?

In fin dei conti non c’è una strada giusta per tutti. Come riporta l’editore fiorentino, scrittori del calibro di Carducci, Moravia, Leopardi, Camilleri, Malaparte, hanno pubblicato alcune loro opere, spesso d’esordio, a loro spese.

Voglio concludere citando ancora Maremmi, al quale va la mia profonda stima e gratitudine per aver condiviso, con  AVALON, alcune realtà smascherate da falsi moralismi.

Credo che, dalle solitudini, ancora verrà da un uomo una cosa narrata a stringere l’anima di un altro uomo capace di intercettarla. E non importa che diventi libro. L’uomo che l’ha scritta e l’uomo che l’avrà compresa s’incontreranno come in un ciclo antico. E – nelle loro solitudini – anche se soltanto per un’ora, torneranno uomini.


[1]    Roberto Cotroneo, Manuale di scrittura creativa, Castelvecchi Editore Roma 2008

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