
[rating=4] Eduardo è un Classico e portare in scena un Classico è sempre pericoloso e stimolante, una responsabilità per chi è in scena, aggravata dal recitare nel “suo”teatro: il S. Ferdinando. Eduardo ci ha lasciato fisicamente 30 anni fa e in questi giorni tante sono state le manifestazioni in ricordo di uno dei rappresentanti più importanti del Teatro del ‘900, non solo Italiano (conferenze, spettacoli, una giornata di letture al Senato, una diretta Rai con regia di Sorrentino).
Ma cosa si può fare per onorare al meglio il suo lavoro e le sue opere se non far propri i suoi moniti e “complicare la vita” degli attori in scena.
Toni Servillo ci prova e ci riesce, coinvolgendo Peppe, fratello anche in scena e avvalendosi di bravi e giovani attori che agiscono in una scena ridotta all’osso: un tavolo, qualche sedia e una credenza, il mobile scrigno di un segreto inconfessabile. Tanto è stato scritto sul Testo, steso di getto nel ’48 e sulla messa in scena di Servillo il cui debutto risale al Marzo 2013. Partiamo dalla trama.
Alberto Saporito è un apparecchiatore di feste popolari che vive col fratello Carlo e lo zio Nicola. Denuncia l’assassionio dell’amico Aniello Amitrano ad opera dei vicini di casa. Fa arrestare i componenti della famiglia Cimmaruta e rimasto solo in casa con il portiere Michele, cerca le prove del delitto. Solo allora, all’improvviso, si accorge di aver sognato il tutto. Ritrattata la denuncia, Alberto rischia la querela o nella migliore delle ipotesi una “paccariata con tutti i sentimenti” , ma quel che viene messo in moto è un meccanismo che svela tutte le meschinità dei protagonisti. I Cimmaruta, ad uno ad uno confessano ad Alberto di credere possibile l’omicidio, e finiscono per incolparsi a vicenda, cercando di scoprire le prove in suo possesso. Converranno, alla fine, di dover assassinare Alberto per salvarsi da un omicidio che nessuno vuole confessare. Beffarde e ironiche appaiono, a tal proposito, le parole di Donna Rosa “ Una buona vicina è sempre una benedizione”. Carlo Saporito, ipotizzando l’arresto per diffamazione del fratello, tenta di approfittarne per disporre a proprio piacimento della piccola eredità lasciata dal padre. Zì Nicola osservatore muto, lucido e sensibile decide di commiatarsi da questa vita. Infine Aniello riappare, così Alberto può sfogare il suo sdegno verso l’immoralità quotidiana, verso coloro che hanno creduto possibile il delitto e non salva neanche se stesso, poiché è stato lui stesso a dare credito a quello che era solo un macabro sogno. Non c’è un morto, ma da questo dramma escono tutti assassini, tutti “colpevoli di aver aver ucciso la stima”.
Il tema dell’ambiguità e del rapporto tra sogno e realtà, frequente nella drammaturgia di Eduardo, porta a conclusioni cupe e disperate. La scena si apre con la cameriera Maria prima addormentata e poi alle prese con il racconto del suo sogno tormentato, mentre il portiere Michele ammette di non sognare più “ma che sogni facevo da ragazzo”.
Ogni personaggio porta con sé un mondo di disgrazie e ipocrisie, ma la chiave in questo testo è Zì Nicola detto “Sparavierze” ( interpretato da Daghi Rondanini, storico tecnico del suono di Teatri Uniti) che si limita a sputare dall’alto del suo stanzino e comunica con Alberto attraverso l’uso di fuochi e petardi.
Zì Nicola ha deciso di “essere muto, poiché il mondo è sordo” è l’anima nobile, afflitta e rassegnata, che assiste alle bassezze, alle ipocrisie, al gioco sadico delle accuse e degli inganni. Saluta tutti con un urlo liberatorio “Per favore un poco di pace” e la trova accompagnato dal bengala verde che ha preparato in anticipo per la sua dipartita.
La regia di Servillo è asciutta, feroce, i tre atti sono rappresentati senza intervallo, la scenografia (firmata da Lino Fiorito) è chiara, essenziale, una piattaforma sembra prolungare il palco fino alla platea, le luci asettiche del maestro Cesare Accetta fanno scoprire un’altro mondo dietro un apparente muro. L’interpretazione del protagonista/regista marcatamente guittesca è seguita dagli altri attori che giocano abilmente sulle note del comico, strappando risate e applausi.
Il tragicomico, l’avvertimento del contrario, l’incomunicabilità, le ipocrisie della società contemporanea, Le Voci di Dentro è un classico, portarlo in scena è un dovere, assistere è un piacere per tutti gli appassionati di Teatro. La compagnia lascerà Napoli domenica 9 Novembre per farvi ritorno a Gennaio presso il Teatro Bellini (altre tappe Milano, Barcellona e Roma).