Un giorno come un altro, da Boris allo Spazio Diamante

Una tripletta di artisti dalla fortunata serie sul palco della prenestina

Carlo De Ruggieri e Luca Amorosino in "Un giorno come un altro" in scena allo Spazio Diamante nella stagione 2024/25.
Carlo De Ruggieri e Luca Amorosino in "Un giorno come un altro" in scena allo Spazio Diamante nella stagione 2024/25.

Metti una sera a cena Luca Amorosino, Carlo De Ruggieri e Giacomo Ciarrapico. Forse è andata così la genesi di Un giorno come un altro, spettacolo scritto e diretto appunto da Giacomo Ciarrapico, una delle firme di Boris, che vede protagonisti Luca Amorosino e Carlo De Ruggieri, pure interpreti della serie. La tripletta di esodati da quel piccolo eterno capolavoro nato dalle folli e meravigliose idee fra gli altri del compianto Mattia Torre e appunto di Ciarrapico, sbarca allo Spazio Diamante dal 28 novembre al 1 dicembre 2024.

Lo scenario è quello di un seggio elettorale deserto in una futuribile Repubblica, dove l’astensionismo dei votanti è arrivato ormai nel sottosuolo della coscienza civica. Uno spunto niente male. Ad animarlo una coppia di scrutatori agli antipodi. Da una parte Marco (Luca Amorosino), uno yes man che campa scommettendo sulla qualunque, disgrazie incluse, dall’altra Ranuccio (Carlo De Ruggieri) un professore di storia separato.

Il primo è una sorta di vitellone ormai over che, nell’evidente inerzia della propria esistenza, si è costruito un business da bar in cui si prezza  e “banca” qualsiasi cosa, dalle vittorie calcistiche ai golpe. Ranuccio dal canto suo è un distinto ricercatore dall’aria un po’ ridicola e vagamente naif. A Marco che cavalaca l’onda dell’italo-medioman “Francia o Spagna basta che se magna”, non interessa affatto la politica. Anzi non biasima chi abbia deciso di disertare le urne, in luogo dell’italianissimo e sempre agognato “pontone”, che permetterebbe ai più di concedersi una settimana di ferie. Perchè spezzarla con una puntata al seggio dopotutto? Ranuccio è invece un ligio soldato del dovere civico.

Presto la mancata presenza di un segretario e di un presidente di seggio (probabilmente proseliti del pontone), li proietta in quei ruoli ma, come la buona democrazia del Belpaese insegna, Marco vestirà da pubblico ufficiale i panni del presidente, mentre a Ranuccio toccheranno i compiti di segretario. D’altra parte è tristemente noto quanto in Italia posizioni di potere e/o prestigio possano essere concesse a personaggi non proprio illustri. Ciarrapico gioca per tutto il tempo su questo scambio di ruoli così poco fieramente made in Italy e ci accompagna pian piano, fra una battuta e l’altra, alla definizione dei personaggi, che scopriamo essere ex compagni di scuola, uno bullizzante (Marco) e l’altro bullizzato (Ranuccio).

Carlo De Ruggieri in "Un giorno come un altro" di Giacomo Ciarrapico.
Carlo De Ruggieri in “Un giorno come un altro” di Giacomo Ciarrapico.

I due un tempo investiti da sentimenti di disprezzo e dileggio l’uno verso l’altro, sembrano fare amicizia, finché Ranuccio non scopre il “piano segreto” di Marco, che dichiara di aver perso tutto il suo denaro nell’errata interpretazione di una mega scommessa su un colpo di Stato nel Centro Africa. Questa inaspettata consapevolezza portarà Ranuccio a patteggiare per un genocida sconosciuto dall’altra parte del mondo, che aveva descritto come criminale solo poche ore prima. Ok lo ammetto come sinossi di trama fa un po’ schifo, ma tento di non spoilerare per i futuri spettatori.

Insomma Ranuccio che alla fine sognava da bambino il superpotere dell’invisibilità e che suo malgrado lo aveva conquistato, proprio agli occhi di quel compagno di scuola che lo derideva chiamandolo Topo, riesce finalmente a uscire dall’ombra. In fondo non è poi l’ultimo dei desideri umani quello di essere visti? Anche a costo di distruggere la coerenza di una vita, a quanto pare. La drammaturgia di Ciarrapico è fluidissima, senza intoppi, ma pure senza sferzate, di quelle cattivissime che ci sarebbero state tutte. In ogni caso il testo è scritto con acume e ironia. Siamo di fronte a un maestro della parola, che sa come si scrive e anche come si compone una regia teatrale, che impacchetti a dovere la pièce senza schiacciarla e che intrattenga il pubblico, evitando di afflosciarlo sulle poltroncine. Comunque impossibile al Diamante, coi sedili che sfidano la sciatica.

L’interpetazione di Luca Amorosino e Carlo De Ruggieri merita un paragrafetto a parte. Una coppia perfetta, che dà corpo efficacemente anche gli stereotipi, si rimpallano battute come in una match da ultima di campionato per la salvezza o la gloria. Devo spendere però un encomio speciale per Carlo De Ruggieri (da me medesima già felicemente recensito in 4-5-6 di Torre). Caratterista doc, attore di talento che regala come sempre pezzi indimenticabili. Non ultima la cantata di Ricominciamo con un microfono da Karaoke. Senza di lui di fatto, Un giorno come un altro non ci sarebbe proprio come spettacolo.

In chiosa qualche riflessione, di quelle di cui forse mi sono sentita un poco orfana con un incipit sì promettente. Escludendo il titolo che ho dovuto rileggere un cinque volte per cercare a fatica di memorizzarlo, sarà la carenza mia di fosforo o è poco azzeccato, questo testo mi ha lasciato dubbi sul finale. Ranuccio e Marco si trovano allineati nella decisione di voto (che non scriverò, perchè raccontare i finali è un’infamata). Parlano dell’invisibilità sognata nell’infanzia da Ranuccio, che invece voleva essere visto e che adesso però, in qualche modo, a me, pare ritornare dritto dritto nel buio. Fagocitato dalla superficialità di Marco. Prima possibilie interpretazione del messaggio. La seconda di cui di seguito, come espressione del pensiero dell’autore, potrebbe invece lasciarmi perplessa.

La prendo larga. Immaginiamo, Costituzione alla mano, un reale scenario di 1-2% di votanti su tutto il territorio nazionale. In Italia non è previsto un quorum per gli elettori, quindi pure andassero a votare in 3, varrebbero comunque quei tre voti. Ciò significa al massimo che i nuovi eletti avrebbero meno cittadini da convincere nelle loro future manovre di governo. That’s all. Quando si parla dell’astensionismo in qualità di politica militante mi sfugge come una siffatta, stagnante, gattopardesca immobilità possa produrre un cambiamento reale. A memoria non ricordo rivoluzioni fatte fra i comodi cuscini del divano di casa. O peggio quelli di qualche B&B frequentato dai fanatici del famoso pontone. Qualcuno ha scritto che in democrazia l’unico modo per cambiare un governo è votarne un altro. E allora in onore al preziosissimo articolo 39 e parafrasando l’immenso De Curtis, siamo uomini/donne/genderfluid o per dirla con Marco, “pubblici ufficiali”?