Quartett: scambi carnali al quadrato

[rating=4] Chi si aspettava di trovarsi di fronte al classico di Laclos Le relazioni pericolose, reso celebre dall’omonimo film di Stephen Freas con Gleen Close e John Malkovich forse sarà rimasto turbato dalla crudezza di Quartett, rilettura altrettanto celebre, soprattutto in terra straniera, di Heiner Müller e dalla rimarchevole mise en scene di Valter Malosti con lui stesso nei panni del visconte di Valmont affiancato da Laura Marinoni in quelli della marchesa di Merteuil, prodotto dal Teatro Stabile di Torino.

Sulla scena la camera asettica di un ospedale, dove il letto della marchesa si staglia nella nudezza glaciale della stanza, ultima stazione di un’aristocratica via crucis libertina, giunta al termine dei giorni. Un monologo incessante rievoca alla memoria della marquise il suo unico folle amore, l’altra faccia della stessa medaglia: Valmont. «È la mia pelle che ricorda».
Materializzatosi, tra i due inizia un incalzante gioco di complicità tra cacciatore e preda, uno scambio di ruoli e di interpretazioni che evoca i restanti due coprotagonisti del romanzo: la presidentessa de Tourvel e la giovane Cécile de Volanges, entrambe sedotte e fatte sue da Valmont, grazie all’appoggio della Marteuil. Nel duplice ruolo i due “scambisti” si alternano in un lascivo “finale di partita”, un affresco vivente che assurge al rito sacrale della carnalità, nella forma di estrema sopraffazione. «La vita ripete se stessa finchè l’abisso non spalanca le sue fauci».

Un testo complesso, affascinante, oscuro, carnale, onirico, ridefinito e serrato nella duplicità dei due personaggi libertini, l’uno riflesso dell’altro. Un prontuario di dialoghi taglienti sulla vita, il piacere e la morte, di una brutalità e di un realismo puro, con continui capovolgimenti ad effetto estraniante e non sempre semplici da seguire. L’intera vicenda è vissuta come un atto metateatrale, tessuta su canoni paritetici al gioco scambievole tra moglie e marito de L’amante di Pinter, o agli scambi sessuali già presenti nel teatro shakespeariano.

Marinoni_Malosti©fabiolovino

La greve musicalità insita nella riscrittura di Müller è paragonabile ad una sotterranea partitura per quartetto d’archi, tesi a scoccare, sulle corde dell’anima, il fendente carnale. In Müller la sacralità della “piccola morte”, estasi e pena dei contendenti, ci riporta all’archetipo dell’opera lirica, dove tormento, passione e morte si amalgamano fugacemente in una vertiginosa assunzione.

Il parallelismo lirico riecheggia nel taglio che Valter Malosti ha dato al suo Valmont, un misto tra un consumato Don Giovanni mozartiano ed un Barone Scarpia pucciniano, annidato nel cuor della marquise, ma dall’artiglio pronto a sferrare il colpo su nuove vittime. Ossequioso nei confronti di una marchesa alla fine dei giorni, il Valmont di Malosti appare leggermente sottotono e un po’ impietrito, creando comunque un’equilibrata polifonia con la verve passionale della Marteuil.

Laura Marinoni ha portato in scena un’energica, graffiante e vitale marchesa conforme al personaggio fuoriuscito dalla penna di Heiner Müller. La sua interpretazione impeccabile e ritmata è il perno di tutta la pièce. È lei ad evocare la revenant di Valmont e sarà sempre lei ad innescare il gioco delle parti, trovandovisi a proprio agio, nei continui cambi di registro e di stile.

QUARTETT - foto Fabio Lovino

Convincente e molto variegata l’attenta regia sempre dello stesso Malosti, con i due personaggi in parrucca ed abiti settecenteschi, incastonati in un’anacronistica sala d’ospedale odierna. L’azione scenica risulta equilibrata, ritmata e senza sbavature, con interessanti trovate come il letto ruotante, i freeze plastici a tempo di musica, il pene dorato o il sangue finale, che aggiungono alla messinscena quella giusta dose di dinamismo, umorismo, forza e scandalo, tratti somatici dello stesso romanzo originale di Laclos.

Degna di nota la vasta “compilation musicale”, da Beethoven fino a Verdi che accompagna come un sottotesto lo spettacolo, accrescendone la tensione fino al suo climax. Ben misurato l’impianto luci con effetto cromoterapico: un passionale codice colore che segue le emozioni dipanate in scena, concludendo in un’agghiacciante evocazione di una lastra radiografica del male.

Quartett si dimostra uno spettacolo di qualità, graffiante e prismatico, con innumerevoli chiavi di lettura, ognuna delle quali riflette il doppio volto di Valmont/Marteuil. Una mise en abyme di due anime maledette, condannate dalla lussuria, come scatole cinesi, ad un’eterna interscambiabilità.

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