Pinocchio in viaggio tra vita, morte e rinascita

La Compagnia del Teatro del Carretto nel suo storico spettacolo tratto da Collodi, con Giandomenico Cupaiuolo

Pinocchio ph Teatro del Carretto
Pinocchio ph Teatro del Carretto

La scrittura scanzonata di Collodi ci aveva fatto perdere di vista, durante la lettura, quante volte Pinocchio rasenti l’annientamento, la cattività e la prigionia, la reificazione o la riduzione in schiavitù; oppure muoia di spavento, per rinascere subito dopo.

Le sorti del protagonista non sono sfuggite invece al Teatro del Carretto, che nel suo allestimento del 2006, in scena in questi giorni al Teatro Ciro Menotti di Milano, esplora queste tematiche.

Una presenza, quella della morte, che prende sembianze diverse nel corso del lavoro: ora è il fuoco che brucia i piedi del burattino sul caldano; ora Mastro Ciliegia e Mangiafuoco che vorrebbero farne legna da ardere per riscaldarsi o addirittura per cucinarci sopra il montone; ora il domatore che condanna il ciuchino a una perpetua esibizione; oppure il contadino che incatena Pinocchio al posto del cane Melampo, passato a miglior vita.

Per non parlare del Pescecane che inghiotte prima Geppetto e poi Pinocchio, per restituirli, nel sonno, al chiaro di luna. E come dimenticarsi degli assassini incappucciati, che dissimulano i due adulatori imbonitori della Volpe e il Gatto? O degli animali chiamati al suo capezzale, in una farsa spettacolare: i tre dottori (un Corvo, una Civetta e un Grillo parlante redivivo) che dovrebbero accertarne il decesso e i quattro Conigli che ne preparano le esequie, quando Pinocchio si rifiuta di assumere la purga?

E pure il pescatore lo grazia, quando sta per finire bell’e fritto in padella, cosparso di farina. A pagare lo scotto della morale educativa del romanzo sarà il povero Lucignolo, che, ridotto alla condizione animale e usurato dallo sfruttamento, perirà, lui sì per davvero.

Unica speranza per il burattino: la Bella Bambina dai capelli turchini, che ad un certo punto appare pure lei morta e sepolta, con tanto di lapide tombale. Ma si tratta solo di un altro brutto tiro giocato dall’autore al nostro eroe. La Fata (interpretata da Elsa Bossi) ritorna più volte, con i suoi moniti e la sua azione salvifica, a proteggere Pinocchio dall’abisso: dispensa cure amorevoli, nutrimento e istruzione. Come mammina, lo salva, a bordo di una carrozzina, per poi farsi il grembo in cui lui si rifugia, sotto la sottana.

Pinocchio ph Teatro del Carretto
Pinocchio ph Teatro del Carretto

Un’opera weird, si direbbe, per l’inquietudine di fondo. E se fosse questo il segreto de Le Avventure di Pinocchio? La ragione del successo che l’opera suscita nei giovanissimi d’ogni generazione?

Con il suo dinamismo, il protagonista sfiora in continuazione la soglia del trapasso. Pinocchio come Giovannin senza paura, capace di affrontare ogni situazione di pericolo, anche horror. Lo dovevano sapere i nostri antenati, il cui tasso di mortalità infantile era molto alto e, ciononostante, ci hanno portato fino a qui: una buona dose di spavalderia occorre da sempre ai bambini per affrontare la vita. Ce lo ricorda la vocina stridula che ritorna con petulanza di tanto in tanto, come manifestazione della forza vitale di ognuno di noi: una pulsione in lotta perenne con il suo contrario. E lo doveva sapere Collodi, traduttore di fiabe del repertorio francese.

La storia comincia in medias res: Pinocchio (nel corpo di Giandomenico Cupaiuolo) è preso nel giogo di un domatore che, con il volto coperto da una maschera nera, impone la sua volontà con la frusta.

Seguirà una lunga analessi, fatta di brandelli del romanzo smozzicati da lui e dalla Bambina: come i passi di una fiaba che i bimbi ripetono sempre a se stessi, senza varianti, per misurare il proprio eroismo di fronte alle prove della vita, testimone l’adulto. Dal burattino sentiremo raccontare cento volte la sua storia, nell’anelito continuo di quel Babbino che l’ha scolpito, anche per un sincero desiderio di paternità.

Pinocchio appartiene al teatro fin dalla sua nascita“, dice Maria Grazia Cipriani, che firma regia e drammaturgia: “«Ho pensato di fabbricarmi un bel burattino di legno. Ma un burattino meraviglioso che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali»”. (Così Geppetto da Collodi).

Pertanto la compagnia si impegna al massimo per riportarlo in scena, con una drammaturgia che fa appello a un buon teatro fisico, di parola e visivo. L’allestimento mette alla prova la corporeità degli ottimi interpreti. Gli oggetti parlano. La Lumachina, perseverante, trasporta con fatica un secchio, in guisa di guscio. La farina scende, a cascata, su Pinocchio. La frusta schiocca.

Pinocchio ph Teatro del Carretto
Pinocchio ph Teatro del Carretto

La storica macchineria scenica del Teatro del Carretto, ideata da Graziano Gregori con i costumi, dispiega i suoi piani sull’intero palcoscenico, con tante porte e porticine, che si aprono per mostrare volti, arti, oggetti. (Forse potrebbe essere sfruttata di più). A volte si spalanca, come portale, per fare intravedere un’altra realtà o fare largo ai personaggi. Di un certo effetto la visione del direttore del circo, avvolto in un mantello cremisi. Presenta al pubblico il numero del Ciuchino Pinocchio che salta in due cerchi: uno rosso e l’altro di fuoco.

Alcuni momenti sono carichi emotivamente, come quello del ritrovamento inatteso del padre, evocato da un piccolo lume che pende su una seggiolina, o quello della ricongiunzione simbolica con lui, quando Pinocchio indossa la giacca lisa che il falegname aveva dovuto vendere, per comprargli l’Abbecedario: segno che la lezione di vita è stata appresa.

Ma sono carichi anche l’ingiusta condanna, inferta da due Gorilla, dietro a una sobria cornice nera, e la subitanea apparizione e sparizione delle Lucciole, a illuminare un cammino, a noi tutti oscuro. Per finire, lo stesso Lucignolo porta a compimento la metamorfosi bestiale del protagonista e ne consuma il sacrificio, abbandonando le sue spoglie mortali.

D’altra parte gli spunti poetici erano già in Collodi, con quella scrittura vivida, al contempo diretta e foriera di situazioni comiche, nonché di immagini simboliche.

I personaggi appaiono all’inizio in forma larvale e si animano come marionette, nella fissità della maschera: la Fata con la Lumachina cerea e sinuosa, la Volpe e il Gatto, ovviamente in società, e i due Conigli becchini, qua bianchi. Sembrano tutte uscite dal Teatrino di Mangiafuoco e, come Arlecchino, evocano l’alterità. Ed è plausibile che sia il confronto con questa dimensione a portare il burattino a una lenta maturazione, fino alla trasformazione in bambino.

Esaurita la funzione di guida nell’acquisizione di una nuova identità, la danza delle maschere si spegne e loro arretrano in quell’altrove da cui sono emerse.

Adesso che l’incanto è finito, anche il naso posticcio di Pinocchio può cadere e lui dismettere il costume del pagliaccio.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Drammaturgia
Attori
Allestimento scenotecnico
Pubblico
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pinocchio-in-viaggio-tra-vita-morte-e-rinascitaPinocchio <br>da Carlo Collodi <br>adattamento e regia Maria Grazia Cipriani <br>scene e costumi Graziano Gregori <br>con Giandomenico Cupaiuolo, Elsa Bossi, Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Carlo Gambaro, Ian Gualdani, Filippo Beltrami <br>suoni Hubert Westkemper <br>luci Angelo Linzalata, <br>organizzazione MAT-Movimenti Artistici Trasversal <br>produzione Teatro Del Carretto <br>dal 4 al 9 febbraio al Teatro Ciro Menotti di Milano

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