Pezzi di vita da Drag Queen per una foto di gruppo indimenticabile

Brillante apertura del Festival Fabbrica Europa con lo spettacolo Gardenia della compagnia belga Les ballets C de la B guidata dal coreografo Alain Platel. Lo spettacolo che ha riscosso enorme successo in tutta Europa, ha portato a Firenze la liturgia di un cabaret giunto al suo ultimo viaggio.

La rappresentazione ha avuto origine da un’idea dell’attrice transessualeVanessa Van Durme, basata sulla storia del film “Yo soy así”, che si sviluppa nella “Bodega Bohemia”, un cabaret di travestiti di Barcellona, dove le vite private di un gruppo di attempate Drag Queen vengono riportate in luce.

L’idea della Van Durme ha sollecitato la fantasia del coreografo Alain Platel, del regista Frank Van Laecke, e del compositore Steven Prengel, decisi di entrare in un universo molto più grande di quello della danza e del teatro: la vita stessa, fatta di desideri, illusioni, segreti, nevrosi e di un’implacabile battaglia contro il tempo.

Dichiara Platel: «C’è un’attrice, Vanessa Van Durme, che conoscevo come artista di cabaret a Gent. Faceva teatro popolare. È un transessuale, uno dei primi a Gent. Adesso ha 60 anni. Aveva deciso di farsi operare negli anni ’70 quando si doveva ancora andare a Marrakech per questo genere di operazioni. Un giorno è venuta da me per chiedermi se potevamo lavorare insieme, con lei e le sue amiche, tutte persone di 60-70 anni, transessuali o travestiti che negli anni ’70 lavoravano nei cabaret».

Così è nato Gardenia, un viaggio calmo e autentico, nel passato, nel futuro e nel presente, un viaggio dell’anima, dove ogni secondo è una scoperta magica raccontata da una troupe di attori travestiti e transessuali che, con i propri ricordi e sogni, si immergono in un mondo di rughe e ferite profonde e al tempo stesso pieno di domande che riguardano tutti: “Ti sembro buono?” “È bella la mia vita?” “L’invecchiamento non è facile, ma la speranza è ancora lì, nascosta in una scatola di trucco.” Da questa immersione gli attori tornano in superficie per mostrarci il loro tesoro fatto di cicatrici passate, che ogni giorno cercano di cancellare, sopravvivendo ai pregiudizi di cui sono stati o sono tuttora vittime.

Sono ancora le parole di Alain Platel e Franck Van Laecke a farci capire più adeguatamente il lavoro svolto: «Gardenia non è un’opera di finzione. E’ una testimonianza eccezionale, un racconto dei più intimi e profondi. Sonda l’esistenza turbolenta di nove persone particolari. Sette personaggi più anziani che misurano, apparentemente senza pena, la zona torbida tra la mascolinità e la femminilità, in contrasto o in armonia con un “ragazzo giovane” e una “donna vera”. Ciascuno con una richiesta. Ciascuno con la sua storia avvincente. Ora divertente, ora sorprendente. Ora straziante, ora esilarante. Ciascuno con una valigia piena di aspirazioni».

Da questa valigia dei sogni escono le anime vulnerabili di Marlene Dietrich, Tina Turner, Josephine Baker, Liza Minelli, Doris Day, Marilyn, Carmen Miranda e Gloria Swanson, tutte riunite per offrirci il loro ultimo ballo, in un mélangemusicale che va da dalla musica classica di Ravel, Puccini e Schubert, a “Cucurrucucu Paloma”, al varietà francese di Dalida e Aznavour.

Ma veniamo alla rappresentazione di Firenze. La scena si apre su di una pedana inclinata, un viale del tramonto volgente al declino, dove nove attori riempiono lo spazio scenico in abiti sciatti e colorati, ognuno di un colore diverso, come i colori dell’arcobaleno richiamati dalle note di “Over the rainbow”, pezzo reso noto da Judy Garland nel film “Il mago di Oz”. Sulla battuta “Da domani il cabaret Gardenia non esisterà più”, il pubblico viene invitato ad alzarsi per un minuto di raccoglimento. Vanessa Van Durme introduce i suoi amici in modo rozzo e beffardo, ha inizio così una serie di azioni corali legate alla vecchiaia, seguite da lenti freeze che sulle note della “Madama Butterfly” modellano squisitamente un semplice cambio di abito degli attori, realizzando una scena mimica di forte impatto visivo ed emozionale, fino all’eccesso. Il viaggio nella trasformazione della persona continua, ed è sufficiente del trucco, abiti con lustrini e una passerella immaginaria per trasformare dei semplici uomini in bizzarre dive della scena che si alternano in una fantasmagorica sfilata di pose plastiche, sulle arie passionali del Bolero di Ravel. In questo andirivieni di tableaux vivantsfatto di canzoni, siparietti, scene di rabbia parossistica tra un uomo e una donna (gli unici in scena) e di corpi che sfioriscono e rifioriscono, lo spettacolo volge al termine con un ultima “fotografia” di gruppo, nuovamente sulla musica di “Over the rainbow”, metafora dell’uscita finale dal mondo magico del teatro e del cabaret.

Uno spettacolo indubbiamente lento, che non tiene molto conto del ritmo e della dinamicità della scena, ma che attraverso la regia di Alain Platel e Frank Van Laeck, a tratti malinconica, provocante, ironica, semplice e minuziosa riesce a scorrere lentamente verso una strada precisa: la verità. Nessuna finzione, nessun tentativo di interpretare un personaggio, questi uomini sono se stessi, ed hanno accettato di rivivere il loro passato in pubblico, è questa la grande prova che ci viene trasmessa. Sono persone che hanno paura di invecchiare, come tutti. Eppure, la speranza per loro è ancora lì, nascosta in una scatola di trucco, in una parrucca bionda o in un vestito a paillettes.

Calorosi applausi in sala.

Promo video dello spettacolo:

http://www.youtube.com/watch?v=FEIAd2w9sS4