Le inquietudini di Pessoa modellano un Abito labirintico e introspettivo

Al Teatro Era un omaggio alla multiforme opera del poeta e scrittore portoghese

[rating=3] Il Teatro Era di Pontedera ha ospitato una delle ultime repliche di Abito, catturando un vasto pubblico eterogeneo curioso di assistere alla messa in scena ispirata a “Il libro dell’inquietudine” di Fernando Pessoa e considerato come una delle maggiori opere della letteratura portoghese del  XX secolo. Riconosciuto come uno dei più alti scrittori e poeti portoghesi, Pessoa è creatore della figura degli eteronimi: alter ego letterari scaturiti dalla sua caleidoscopica personalità. Tra questi suoi doppi, con i quali Pessoa ha firmato svariate raccolte di poesie e scritti, si trova Bernardo Soares, autore appunto del libro e definito da Pessoa come «una semplice mutilazione della mia personalità: sono io senza il raziocinio e l’affettività».

La pièce prodotta dalla Fondazione Pontedera Teatro prende vita da un appunto del libro, dove Soares/Pessoa scrive che un’altra persona ha indossato il suo abito, i suoi panni ed è andata per strada, nella sua vita, ad abitare nella sua casa. Da qui prende corpo il dubbio, l’inquietudine, ildesassossego, di aver vissuto sempre travestito da un’altra persona, di aver sofferto e gioito come uno sconosciuto.

Da questo point de départ lo spettacolo ha inizio con la finestra di Bernardo Soares, che riflette sul muro di fronte una moltitudine di ombre provenienti dalla sua casa, mentre una musica di festa le anima in canti e danze. Soares si avvicina come sempre alla sua finestra «che da sull’inizio delle stelle», dal suo «quarto piano sull’infinito», dove i suoi «sogni si muovono con l’accordo di un ritmo» e la «sua anima è una misteriosa orchestra».

Nel vestirsi/svestirsi Soares si smarrisce e fluttua alla ricerca di un senso sulla propria esistenza, esplorando il suo interno ed entrando in contatto con gli eteronimi che coabitano dentro di lui.

Emergono dunque in carne ed ossa le varie sfaccettature della personalità proteiforme di Pessoa, ciascuna vestita con lo stesso abito scuro, cappello e occhiali, icona del poeta portoghese in numerosi ritratti. Gli eteronimi arrivano ognuno in bicicletta, circondano il personaggio messo a nudo e lo trasportano in un gioco alla deriva, che ha come premio ultimo un abito identico al loro.

Il personaggio denudato, un po’ Pessoa, un po’ Soares, divenuto a sua volta un eteronimo dalla mente dell’ortonimo (suo autore), cercherà invano il modo di rientrare nella sua finestra, nella sua casa ormai vista solo dall’esterno ed abitata da un altro suo doppio. In realtà il processo creativo ormai è avvenuto, l’eteronimo è nato, è una persona reale, vive di vita propria e la sua fine sarà decisa dal suo Dio, l’ortonimo, l’autore, Pessoa appunto.

Lo stesso autore parlava della nascita dei suoi eteronimi così: «L’origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. […] L’origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l’interno e io li vivo da solo con me stesso.»

La performance, sotto la guida di Roberto Bacci e Anna Stigsgaard, ha cercato di portare alla luce la pluralità e la moltitudine di eteronimi che sgorgano della mente del poeta portoghese, più che di far rivivere le atmosfere delle pagine del journal intime di Bernardo Soares.

Anziché avere la visione esterna del vero autore del libro, Soares appunto, che dalla sua finestra di Rua dos Douradores si dirige verso le vie di Lisbona, nello spettacolo si ha una panoramica interna, introspettiva all’animo e alla mente di Fernando Pessoa.
La città della luce, Lisbona, non appare mai, se non nelle splendide musiche eseguite dal vivo da undici giovani attori che hanno convinto con una buona prova canora nonché attoriale.

Vigorosa la regia, con un’azione scenica ben equilibrata da ritmo e movimento, dove i pochi oggetti di scena sono stati utilizzati in vari modi nei quadri dello spettacolo: le biciclette usate prima come veicolo, si trasformano in corpo con cui ballare, ma anche in strumento musicale e infine in sepolcro.

Una lode anche ai quattro attori della Compagnia Laboratorio di Pontedera che hanno espresso una vigorosa prova di interpretazione su un testo tutt’altro che semplice e ben drammatizzato da Stefano Geraci Robero Bacci.

Uno spettacolo labirintico, nell’intrecciato e turbinante cervello di un autore e di un libro infinito.

Scegliere un autore come Fernando Pessoa è senza dubbio una scelta coraggiosa e allo stesso tempo affascinante, che come tutta la sua opera lascia buchi neri e molto spazio all’immaginazione.
Al termine dello spettacolo si ha l’impressione di avere attraversato la sua mente, un po’ come accadeva nel film “Essere John Malkovich”, abbiamo la sensazione di aver visto attraverso i suoi occhi, le sue paure e le sue fantasie ed essere stati per poco più di un’ora una sola moltitudine: Fernando Pessoa.