
Kyrahm è una delle rappresentanti della liveart in Italia, artista visuale, autrice, regista, attrice, performer.
Il suo lavoro ha ottenuto in Italia e all’estero numerosi riconoscimenti e premi istituzionali.
Partiamo dalla definizione di “performance art” e dalle sue differenze sostanziali con il teatro
Roselee Goldberg artista e gallerista di New York afferma: “Il performer non interpreta un personaggio”.
Non è possibile in questa sede fare una panoramica completa della Storia della Performance. Alcuni la fanno risalire alle pratiche rituali primitive, altri al movimento Gutai giapponese e altri ancora identificano come una forma d’arte sorta tra gli anni 50 e 60 e nata per essere un’esperienza effimera ed autentica sia per il performer che per il pubblico in un evento che non avrebbe potuto essere ripetuto, bloccato o comprato. Il performer è e porta in scena se stesso, il suo corpo e la sua biografia. La performance d’artista può essere fatta in qualsiasi luogo e senza limiti di durata. L’azione di un individuo o di un gruppo in un particolare luogo e in un particolare lasso temporale costituisce l’opera stessa.
La performance non ha niente a che vedere con il teatro. Ci sono performance e ci sono lavori che possono essere ricondotti all’interno della categoria teatro e pertanto prendono il nome di spettacoli. Nella performance tutto ciò che avviene è reale, non c’è spazio per l’interpretazione. Per approfondire il tema si può leggere “Italian Performance Art” di Frangione.
Il 16 giugno nel Palazzo Barocco di Panisperna a Roma hanno preso vita i tuoi “guerrieri”…Chi sono questi individui e contro chi lottano?
Lilli è un’attivista per il riconoscimento dei diritti LGBTQI; Pepijoy è un artista della ceramica che sta combattendo contro la malattia; Nicola è un performer disabile che ha fatto della body art la sua vita; Fulvia, che porta in scena se stessa, rappresenterà invece la caducità del corpo per il tempo che passa. Ci sarà anche un abbraccio tra un donatore di sangue e un potenziale ricevente talassemico: stesso sangue e nessuna parentela. Guerrieri che si preparano a combattere, altri nel vivo della battaglia, altri che hanno vinto: di sala in sala, un fil rouge tra la vita in divenire, la caducità della carne e la morte, in un disperato bisogno d’amore.
Prende parte alla performance anche una famiglia arcobaleno: una bambina e Imma, una delle sue due mamme. A chi mi chiede in cosa cosa consista “Ecce (H)omo, Guerrieri”,risponderei semplicemente: “è un progetto sull’Amore”.
Sembra che tu abbia la capacità di andare all’essenza delle cose, dici “Il mio ruolo nel mondo è provare a trasformare il dolore in poesia” e “provare a dire tutto senza proferire una parola”.
Come fai? Venite a vedere una mia performance ed avrete, forse, una risposta.
Come nasce il progetto “Human installation”?
Il progetto Human Installations nasce nel 2009: si tratta di una serie di performance e i loro corrispettivi in videoarte. Per la rassegna “MutAzioni Profane” che ho ideato e curato con Julius Kaiser, ho presentato una serie di performance aventi come focus centrale il tema della metamorfosi. Dalla “Crisalide” dove son stata rinchiusa in un bozzolo per 29 ore in una piazza di Roma accudita da mia madre per i bisogni primari a “Obsolescenza del genere”, dove uomini e donne anche transessuali mostravano con orgoglio i propri corpi nudi e la propria identità, mentre Julius effettuava la trasformazione da donna a uomo sulla scena. Personalmente una delle esperienze più significative su questo filone l’ho avuta con la performance Making Peace With The Wind”,dove, dopo aver deformato il volto con della soluzione salina, ho registrato le reazioni dei passanti prima e dopo: una riflessione sulla percezione di noi stessi e i condizionamenti delle specchio sociale.
Il trittico “Human Installations IIII” racchiude in un unico lavoro performativo parte della tua ricerca. L’opera vince nel 2010 Il “Celeste Prize International” di New York nella categoria live media e performance.
Il lavoro vince la categoria online vote e vola a New York nel 2010. Il premio è consistito in una esposizione alla “ Invisible dog Art Gallery” di Brooklyn. Decidere di partire fu una scelta personale, più per curiosità che per altro: è stata l’occasione di poter visitare la Grande Mela ed entrare in contatto con la terra di alcuni parenti che lasciarono tutto per inseguire il sogno americano. Ero stata negli Stati Uniti già due volte: la prima volta nel 2009 quando Obsolescenxza del genere fu selezionata tra le 30 migliori performance gender exploration del mondo e sempre nel 2010, in Arizona, io e Julius portammo in scena una versione de “Il gioielliere”.
Ma è con il Premio Arte Laguna di Venezia la soddisfazione maggiore: una performance scelta su altre opere provenienti da tutto il mondo.
Esiste un limite tra la tua vita “reale” e quella “performativa”?
Che dire… nella performance non si interpreta un personaggio. Si “è”, semplicemente. Mi sto chiedendo quanto spesso sono più autentica nello straordinario che nel quotidiano. Una performance è una seduta dallo psicoanalista, una videocamera nel cervello, un vecchio compagno di classe invecchiato che incontri per caso, chiudere gli occhi e ritornare piccoli. Dovremmo esser grati ogni giorno di esser ancora vivi e sani. A volte basta far entrare un po’ più di luce in camera, soprattutto le mattine d’inverno.
L’altra sera la mia performance è stata mangiare in una stanza buia, seduta davanti ad un tavolo ricco di pietanze che non ho toccato. Indossavo un vestito nero lucido. Versavo dello spumante nel bicchiere di cristallo. Alzavo il bicchiere, davanti a me una parete di specchi. Brindavo ai miei carnefici, ai miei fantasmi e alle mie paure.Mi alzavo in piedi, andavo verso la finestra. Scioglievo il nodo del corset ed osservavo da fuori pioggia e palazzi. Un po’ di riposo, del resto ogni giorno invecchiamo.