
Dopo il debutto, in data unica, al Teatro Antico di Taormina dello scorso agosto, è tornato in scena al Vascello di Roma il nuovo adattamento della “Medea” di Gabriele Lavia, di cui è splendida protagonista l’attrice Federica Di Martino, affiancata nel ruolo di Giasone da Simone Toni. Ci ha concesso una lunga ed interessante intervista, in cui parla di sé e di teatro, tra passato e presente, ma anche con uno sguardo al futuro e l’auspicio di un ritorno alla normalità.
D: Dopo la Contessa Ilse de ” I giganti della montagna”, sempre con la regia di Gabriele Lavia, ti ritroviamo nelle vesti di Medea. Un notevole salto di ruolo…
R: La contessa Ilse e Medea sono due ruoli antitetici da interpretare: la contessa Ilse è una donna che si libera dalle passioni per fare di se stessa poesia, quindi è una donna che cerca in ogni modo di liberarsi dalla passione carnale, invece Medea ne è schiava, al contrario si spoglia della sua divinità e diventa folle per amore ed in qualche modo è schiava delle passioni, questa è la loro primaria diversità; quindi c’ è un contrasto per quello che riguarda l’interpretazione, tra la ricerca di una “etereità” e di una “terrestrità”.
D: In questo adattamento viene messo in risalto la «fedeltà alla parola» classica a cui, però, corrisponde una «infedeltà drammaturgica”; nelle note di regia, si legge che «la struttura della tragedia greca viene ingoiata da una nuova struttura contemporanea», «spogliata» dell’inessenziale e ridotta al nucleo centrale del messaggio testuale. La trascrizione a sole due voci poteva essere rischiosa o, comunque, un limite…
R: L’ urgenza di questo adattamento deriva dal fatto di voler rendere più contemporanea, più che mai vicina a noi la tragedia classica, perché la tragedia classica segue degli stilemi che sono legati a un particolare mondo drammaturgico, infatti prevede un coro, che in questo adattamento non c’è.
D: Sei d’accordo con l’ affermazione che viene pronunciata in scena, secondo cui «l’amore è la peggiore disgrazia per le donne»?
R: No, non sono d’accordo in senso assoluto con l’affermazione che fa Medea, però credo che possa esserlo, senza dubbio, penso alle tante donne vittime di femminicidio.
D: Quella rappresentata è la tragedia di Medea, una donna che oscilla tra l’amore folle e l’odio ragionato, una donna tradita e lacerata da emozioni contrastanti che disintegrano la moglie-madre. Come si potrebbe trovare una giustificazione, se pur difficile, al suo terribile gesto?
R: Non credo che il gesto di Medea possa essere giustificato… infatti, da attrice, il monologo in cui prende la risoluzione di uccidere i figli è, a livello interpretativo, la battuta in assoluto più difficile: una donna non può giustificare un atto di tale atrocità, però si può comprenderlo… penso a tante tragedie del quotidiano che avvengono, alla perdita della ragione alla luce della passione folle di una donna che si trova a vivere in un paese con un’ altra cultura e con altre leggi di cui lei è vittima e schiava, e si ritrova in una condizione tale di impotenza che può arrivare ad una risoluzione così drammatica.
D: Questo testo antico è, comunque, un’opera di forte attualità. Si può, in un certo senso, considerare una “storia” fuori dal tempo e dallo spazio… infatti credo che negli atteggiamenti dei due personaggi si possano ritrovare figure del quotidiano. Chi sono le Medee di oggi?
R: Sì, come dicevo prima, nei fatti recenti di cronaca noi ritroviamo questa perdita della ragione: penso a Cogne o penso anche al maschile, a quel padre che ha ucciso i suoi figli ed ha dichiarato apertamente che lo ha fatto per far soffrire la moglie, purtroppo la cronaca è piena di fatti del genere.
D: E’ innegabile che la tua caratteristica peculiare sia la volontà di partire dal lavoro sulla corporeità per assumere il personaggio che interpreterai (Elettra, la Contessa Ilse e Medea, solo per citare i più recenti); questa rilettura ha sicuramente messo in evidenza la tua grande presenza scenica…
R: Indiscutibilmente io seguo sempre un insegnamento che mi ha dato un’ attrice che io ho adorato, che ritengo sia la più grande attrice che ho avuto il piacere di conoscere e di poter ammirare, che è Mariangela Melato, la quale mi ha sempre detto che il personaggio nasce dalla camminata, per esempio Elettra, la Contessa Ilse e Medea sono proprio diversissime anche nella postura fisica, io cerco sempre di fare un lavoro sul corpo, ad esempio per Elettra ho cercato di interpretare un personaggio piegato dal dolore e da anni di vessazioni quindi con spalle curve, la testa reclinata sempre, quasi a negare se stessa, per Ilse invece il lavoro è stato totalmente l’opposto.
D: La crisi indotta dal Covid ha messo in ginocchio il mondo culturale ed il teatro in particolare. Eppure, citando O. Welles, ” il teatro resiste come un divino anacronismo”… potremmo definirla eroica, senza mezzi termini, questa forma di resilienza del teatro?
R : Diciamo che la situazione che vive adesso il teatro è davvero folle, imprevedibile… viviamo in un momento storico piuttosto buio per il teatro italiano, per tante ragioni che ora sarebbe troppo lungo spiegare qui… una delle più deterioranti, a mio avviso è stato il decreto Franceschini che ha portato ad una burocratizzazione del teatro e che ha un po’ ucciso il palcoscenico, ma sarebbe un discorso troppo lungo da affrontare…poi, come se non bastasse, abbiamo avuto la pandemia e questo per noi è davvero drammatico perché se non c’ è pubblico il teatro non si può fare, recitare è un arte che si basa sul contatto, sul rapporto.
D: Hai iniziato la tua carriera con Luca Ronconi. Cosa ricordi di quella prima esperienza teatrale?
R: Della mia esperienza con Ronconi ho dei ricordi meravigliosi: avevo 22 anni ed ho fatto una tournée a Parigi e Cracovia, ricordo la sua meticolosità ed alcune sfuriate… la prima esperienza con lui è stata molto importante per consolidare in me, e nel rapporto con il mio lavoro, una cosa in cui credo molto, cioè la disciplina, la serietà e la dedizione assoluta a ciò che si fa, per quanto io avessi un ruolo piccolo ho avuto modo con Ronconi, da subito, di avvicinarmi a tutto questo.
D: Quale opera ti piacerebbe portare in scena e perché e quale nuovo personaggio ti piacerebbe interpretare?
R: Durante il lockdown avevamo cominciato con dei miei colleghi, peraltro stimatissimi, un lavoro molto affascinante su “Hedda Gabler” di Ibsen, era un esperimento che ci stava appassionando molto e ci ha dato anche dei buoni risultati, quindi mi piacerebbe molto poter finire questo percorso che avevamo cominciato.
D: E’ inevitabile parlare anche di Gabriele Lavia. Ormai il vostro sodalizio artistico è tra i più consolidati; quali sono le difficoltà e gli aspetti positivi, se ci sono, nel recitare insieme o forse di più nell’ essere diretta dal proprio marito?
R: Gabriele Lavia per me è il talento assoluto, è davvero uno straordinario regista ed un attore incredibile, ho imparato molto da lui, davvero molto… lavorare con lui, essendo io legata a lui anche sentimentalmente, è più complesso che lavorare con altri registi: per me è più faticoso, perché cerco costantemente di non deluderlo, però è uno scambio per me estremamente proficuo, imparo molto da lui e in lui ritrovo molti aspetti di Ronconi di cui parlavamo prima, soprattutto l’attenzione per il particolare.
Foto di Pino Le Pera