
[rating=4] Ci sono spettacoli che colpiscono e piacciono non tanto per la bellezza del testo o per le emozioni che suscitano, quanto per pura e semplice fascinazione visiva ed estetica. E’ il caso di Giulio Cesare. Pezzi staccati, l’intervento drammatico su William Shakespeare ideato e diretto da Romeo Castellucci in scena al Teatro A del Centro Multimediale di Terni, in occasione della decima edizione del Terni Festival, manifestazione internazionale dedicata alla creazione contemporanea.
Giulio Cesare. Pezzi staccati è la versione “ridotta” di una delle produzioni più importanti della Societas Raffaello Sanzio, quel Giulio Cesare che nel 1997 vinse il Premio Ubu come miglior spettacolo dell’anno, del quale riprende alcune scene e situazioni che, oggi come quasi vent’anni fa, possono scatenare negli spettatori sensazioni forti e contrastanti.
Lo spettacolo si svolge in uno spazio completamente rivestito di bianco, con i tre personaggi principali – “…vskij”, Giulio Cesare e Marcantonio – che uno dopo l’altro propongono al pubblico le loro azioni performative: “…vskij” (interpretato da Simone Toni), personaggio che allude a Konstantin Stanislavskij, recita un brano del Giulio Cesare shakespeariano (lo scambio di battute tra Flavio, Marullo e un ciabattino, con il quale si apre la tragedia del Bardo) mentre, tramite una sonda endoscopica che lui stesso si è infilato su per il naso, vengono proiettate su uno schermo le immagini della sua glottide che si contrae e vibra, a sembrar quasi una seconda bocca interna che funziona all’unisono con la bocca principale; Giulio Cesare (Gianni Plazzi), avvolto in una tunica rossa che diventa un sudario dopo la sua morte, si esprime solo a gesti; Marcantonio pronuncia l’orazione funebre per Giulio Cesare con una voce che non proviene dalle corde vocali, perché non le ha più, gli sono state asportate (Dalmazio Masini che lo interpreta è un autentico laringectomizzato), quindi per pronunciarla deve ricorrere a una voce poco percettibile e intelligibile che proviene da altrove, dal ventre, utilizzando una particolare tecnica fonatoria. Si potrebbe dire che Giulio Cesare. Pezzi staccati presenta tre modi diversi di “essere” e “apparire” della voce umana – la voce fisica e carnosa che palpita e si muove, la voce totalmente assente, la voce appena abbozzata che per uscire dalle labbra si fa largo a fatica attraverso percorso inusuali – ai quali corrispondono tre modi diversi di “essere” e “apparire” della parola – la parola vista nella sua materialità e nella sua carnalità nel momento della sua emissione, la parola negata e assente, la parola ferita e ostacolata. Allo spettacolo partecipa anche un cavallo in carne e ossa (vivo), sul fianco del quale un attore cerca di scrivere con pennello e vernice una citazione biblica in ebraico dal Libro del Profeta Daniele (ma al cavallo questa cosa non andava molto a genio, e l’ha fatto capire in modo chiaro).
Giulio Cesare. Pezzi staccati – che, lo ricordo, è stato ideato e prodotto nel quadro di E la volpe disse al corvo. Corso di linguistica generale, il progetto speciale curato da Piersandra Di Matteo che l’anno scorso la Città di Bologna ha dedicato al teatro di Romeo Castellucci – è un bell'”oggetto” performativo il cui punto di forza è rappresentato da una serie di intuizioni e invenzioni formali e visuali seducenti, intriganti e anche disturbanti, che respingono e al tempo stesso affascinano lo spettatore senza lasciarlo indifferente.