
Il sipario si alza. All’interno di una scenografia che non sfigurerebbe in un film horror con serial killer (un capannone scrostato e sporco) c’è Hamm, che siede sul suo trono, e Clov, che continua a gironzolare eseguendo gli ordini di Hamm. Hamm non può alzarsi, Clov non può sedersi. Di lato, due cassettoni – che, appunto, non sfigurerebbero nello scantinato di un serial killer – in cui vivono Nell e Nagg, genitori di Hamm, entrambi senza gambe. Solo due finestre, da cui Clov assicura che non si vede quasi nulla. Capiamo che i personaggi non possono lasciare l’edificio, e ce lo dice la scenografia cubica e sigillata. Non c’è alcun senso nella sceneggiatura, né i dialoghi seguono una particolare logica. Lo spettatore non riesce a capire se la fine coincide con la morte oppure semplicemente con la fine della giornata (unità di tempo e di luogo, come Aristotele insegnava). Finale di partita è il capolavoro di Samuel Beckett assieme ad Aspettando Godot.
Glauco Mauri e Roberto Sturno appartengono alla storia del teatro italiano. Due professionisti che fanno la differenza nell’adattamento di Andrea Baracco, che segue pedissequamente Beckett e regala un Finale di partita scevro di eccentricità e colpi di testa. Rimane solo Beckett puro, affidato alle cure di Mauri e Sturno e riproposto in tutta la sua franchezza: un testo complicato e di difficile interpretazione critica che racchiude in sé i grandi temi dell’insensatezza dell’universo e del (non) senso della vita. Perciò Baracco ripropone fedelmente l’impasse che Beckett ha voluto creare nella sua pièce: il “finale di partita” fa riferimento al gioco degli scacchi, precisamente al momento in cui sulla scacchiera sono rimasti pochissimi pezzi. Il giocatore esperto, coraggioso, al corrente di come vanno le cose della vita, si arrende e abbandona la partita. Il giocatore inesperto – come Hamm, che non riesce ad accettare la sconfitta e la fine della partita – continua a giocare sperando in un’impossibile via d’uscita.
Chi sono Hamm e Clov? Che cosa rappresentano? Non lo sappiamo. Probabilmente sono il Re e il pedone sconfitti di una partita di scacchi. Forse Hamm è il cuore, con quella sua tendenza all’irascibilità e ai moti di stizza, mentre Clov è la testa, che cerca di arginare le risposte inconsulte di Hamm e sembra il personaggio più assennato, se in Beckett si può parlare di personaggi assennati. Onore dunque a Mauri e Sturno, che regalano un’ora e un quarto di Beckett vero.