Figli di un Dio minore: l’operazione genialmente comunicativa di Mattolini

[rating=5] In questi giorni di sofferte o sbraitate rivendicazioni d’appartenenza/riconoscimento a questo piuttosto che a quel gruppo, ideologia, credo politico-religioso eccetera eccetera, vedere uno spettacolo che si pone come obbiettivo, fra l’altro riuscitissimo, quello di mettere in comunicazione due universi apparentemente inconciliabili è quanto di meglio si possa provare in una delle lunghe e ahinoi spesso desolate serate romane.

Marco Mattolini ripesca il pluripremiato testo di Medoff “Figli di un dio minore” e realizza l’inedito degli inediti: non solo un debutto assoluto sulla scena italiana, ma una pièce parimenti fruibile da udenti e non udenti. A recitare le parti dei personaggi ci sono infatti attori udenti (Giorgio Lupano, Francesco Magali, Cristina Fondi) e attori non udenti (Rita Mazza, Gianluca Teneggi, Deborah Donadio) in un perfetto connubio di voce e linguaggio dei segni a cui hanno potuto partecipare anche spettatori comunemente definiti “sordi”. E il comunemente non è messo a caso. Si perché questo lungo e complesso lavoro ha voluto proporre alla non di rado pigra audience capitolina l’altra faccia di un luogo comune: due mondi diversi e forse distanti possono entrare in comunicazione? Quanta attualità si può leggere in una domanda simile e quanto carico di significati un gesto può tradurre in loco di voci così poco avvezze al dialogo vero? Ce lo insegna Rita Mazza, che per fare l’attrice ha dovuto lasciare l’Italia, ma ce lo insegna soprattutto Sarah, il suo personaggio, incastrata fra due realtà che le impediscono di essere semplicemente sé stessa: l’istituto per sordi dove è cresciuta con l’amico Olin (un bravissimo Gianluca Teneggi) e la vita coniugale con James Leeds, il logopedista che se n’è innamorato fino a farla sposa, ma cadendo anche lui nel delirante impeto del cambiamento forzato. Cosa resta allora di un amore soffocato dalla voglia di uniformarsi piuttosto che a quella di esprimersi liberamente? Forse solo la speranza di incontrarsi, come dice Sarah, in quel limbo dove non ci sono né suoni né silenzi, dove per amarsi basta il confronto sereno e partecipe, senza obblighi o costrizioni.

È una parabola sui sentimenti e il rapporto interpersonale in genere questo testo già di suo meraviglioso, che Mattolini ha saputo declinare magistralmente sulla scena del Sala Umberto a Roma, bravissimi tutti gli interpreti con una speciale menzione per Lydia (Deborah Donadio) che ha qui e lì sdrammatizzato con talento uno spettacolo a tinte emotive fortissime. Stelle anche per l’allestimento scenico, che ha giocato tanto sulle ombre dei segni quanto delle anime come in un’enorme scatola cinese, tanto di cappello infine per Lupano che da attore ha saputo cogliere la non facile sfida del LIS in scena. Insomma un ensemble di buon teatro e riflessioni umane, che hanno restituito un po’ di respiro nella quotidiana apnea di chiacchiere moleste od ostinati mutismi che non sanno più darci pace.

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