Ein Volksfeind – Un nemico del popolo. L’illusione è il peggiore dei mali

[rating=3] Caos, gesti mancati, contraddizioni, il teatro di Heinrik Ibsen è una pelle trasparente, gli organi a vista in un calmo subbuglio. Come la carne umana si rinnova, schiavizzata dal destino, così le opere di Ibsen si auto-rinnovano, ogni qualvolta tornano sui palcoscenici.

Dal 1882, anno di stesura di Ein Volksfeind – Un nemico del popolo, poco o niente è cambiato nella società occidentale. Il teatro continua a maggior ragione a risorgere dal sudario della carta stampata per gettare nuovamente nel dubbio, domandare, far risuonare campane in testa. Se nel drammaturgo norvegese luci e ombre convivono in equilibrio, nel teatro del nostro contemporaneo tedesco, il regista Thomas Ostermeier, i chiaroscuri non sono poi così accentuati e il bene e il male sembrano rincorrersi pallidamente.

Ein Volksfeind - Un nemico del popolo

La versione stravolta di quest’opera, vestita con abiti quotidiani del nuovo millennio e musica indie/elettronica, è una scelta che il testo naturalmente richiede (essendo, il tema e la trama, profondamente vicine al nostro presente). Tuttavia, gli attori – tranne due eccezioni – hanno l’aria di starsene affaccendati sul palco, entrare e uscire a comando, e di non lasciarsi stravolgere dal palco.

Sono da escludere Hingo Hulsmann, qui nel ruolo di sindaco della città (artefice e protettore dello stato immobile e ufficiale di cose), con cui si erge come un’aquila su un nido di passerotti. Anche le brevi apparizioni di Thomas Bading, con un cane pastore tedesco al guinzaglio, rendono l’idea di un’ambiguità che deve attuarsi, e di cui la drammaturgia (Florian Borchmeyer), tutta incentrata sullo scontro tra coscienza e incoscienza civile, potere occulto e democrazia, ha bisogno.

Le acque e le tubature di una cittadina termale sono inquinate, scopre un giovane medico. Ma la stampa, il consiglio comunale, la stessa famiglia, gli amici lo vogliono zittire. Dove finisce la ragione e dove inizia la follia, la verità contro la menzogna, l’individuo contro la massa, la paura, la crisi interiore rappresentano il sotto-testo a cui aggrapparsi, simile a uno scoglio mobile che sfugge.

Non c’è appiglio in quest’opera, e non c’è soluzione etica e morale. Solo la musica, che i il gruppo di giovani protagonisti suona e intona all’inizio dello spettacolo (Thomas Schroeder, Christoph Gawenda, Moritz Gottwald, Eva Meckbach), è armonizzata alla perfezione e offre una piattaforma emotiva. Per il resto, la regia si fossilizza sul momento del dibattito reale con il pubblico – caloroso e acuto il pubblico napoletano, addirittura sarcastico in certi scambi di battute con gli interpreti -, e su scene annoiate, smosse dalla presenza fulminante di Hingo Hulsmann.

Ein Volksfeind - Un nemico del popolo

La musica (tra cui un’inaspettata cover di Changes di David Bowie) è qui uno degli elementi che rende merito a quella parte di indicibile, che ogni spettacolo dovrebbe spremere. Meritano comunque di essere menzionati anche l’attore David Ruland, lo scenografo Jan Pappelbaum, i creatori della colonna sonora Malte Beckenbach e Daniel Freitag, i costumi di Nina Wetzel.

La sensazione generale di questo Un nemico del popolo è di una camomilla concentrata, che però tiene paradossalmente svegli. Il Napoli Teatro Festival si conferma, comunque, un occhio ben spalancato sul paesaggio teatrale, oltre i confini dello stivale.

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