
[rating=4] Il cupo e scarno interno di un ameno faro bianco abbarbicato su una scogliera, battuto dal mare e dai venti. In questo sepolcrale microcosmo si celebra la “Danza macabra” di August Strindberg firmata da Luca Ronconi, tornato nella “sua” Prato, per l’apertura della Stagione 2014/2015 del Teatro Metastasio di Prato. Sulla scena la coppia (anche nella vita) formata da Adriana Asti e Giorgio Ferrara, affiancata da Giovanni Crippa.
La mano sapiente del Maestro, che a metà anni ’70 fondò al Fabbricone, il Laboratorio di Progettazione Teatrale, trasforma il gioco al massacro di Strindberg in una vaudeville noir dai tratti vampireschi.
La storia punta la lente sull’autunno della vita di una coppia: Edgar, ufficiale “fallito” e Alice, ex-attrice senza talento, alla soglia del loro venticinquesimo anniversario di nozze. Il ménage familiare isolato dal mondo, «da soli in mezzo ai nemici», e colmo di apatica routine, si anima di colpo all’arrivo in scena di un terzo personaggio, Kurt, ufficiale di quarantena, cugino della donna e artefice del loro matrimonio.
Come Dr. Jekyll e Mr. Hide, tutti i personaggi della commedia subiscono una propria trasformazione: orrenda, miserabile, malefica. La subdola e remissiva Alice, da semplice preda impagliata, costretta a eseguire meccaniche marce al pianoforte (tra le quali la Marcia dei boiardi di Johan Halvorsen) per soddisfare l’egocentrismo militaresco del marito, «Io sono, dunque Dio esiste», ammalia e seduce a sè il debole cugino Kurt, risvegliando in lui «la bestia feroce», mentre il presuntuoso consorte Edgar sfida in un gioco sadico i sentimenti degli altri due, minando le loro debolezze.
Marito e moglie si contendono le attenzioni di Kurt, spalancandogli l’inferno domestico, come in un gioco metateatrale di personaggi-attori in cerca di apprezzamento dall’unico, ultimo spettatore. Quando il frastornato cugino-amante se ne sarà andato, tutto tornerà come prima, facendo ripiombare la coppia in una lenta e beckettiana attesa della non-vita quotidiana.
Edgar: «Cancellare per andare oltre, dunque andiamo oltre»
Ronconi accentua in maniera accademica alcuni spunti tratti dalla drammaturgia: così i due coniugi si mutano in diabolici vampiri che dispensano morsi sul collo dell’ospite inatteso Kurt (che vicendevolmente ricambia), mentre i mobili si spostano sulla scena all’imperversare del vento. Un humour nero e un gesto, quello del morso vampiresco, tanto reiterato da evocare il “Per favore non mordermi sul collo” di Polanski, parodia di luoghi comuni dei film sui vampiri.
Una regia attenta, ci consegna una nuova chiave di lettura di un’opera che portata in scena in modo classico, avrebbe mostrato ancor di più i segni del tempo, a 113 anni dalla sua stesura.
Smorfie, occhi sgranati e pose plastiche decorano l’interpretazione attoriale come in un film espressionista, con la collera grottesca dei coniugi che si lega agl’intimi timori di Kurt.
Eccellenti luci e costumi, oltreché la scenografia mobile di Marco Rossi, dove telegrafo (stile Addams), divani e poltrone sono conformi all’ambientazione nera della commedia, con punte gotiche, come il praticabile, che ricorda una cancellata in ferro o le sbarre figurative della “prigione” di Alice.
Alice: «Cosa ha detto il dottore?»Kurt: «Che può morire»Alice: «Dio sia lodato!»
Ottimo il cast, con la grande interpretazione di Giorgio Ferrara che ci dona un misantropico e burbero Edgar, vero perno della commedia, dosando accelerazioni e pause nell’estraniante dialogo con Alice, incantevole Adriana Asti: due diavoli nel piccolo inferno del teatro. Suggestivo anche il Kurt vampiresco di Giovanni Crippa, una figura flebile, delicata, estranea, ma tremendamente presente e necessaria a dare il tempo alla danza.
Uno spettacolo ben fatto e ricco di trovate sceniche, che paga dazio soltanto per la pesantezza del testo e di un ritmo non sempre incalzante, come quello vertiginoso dell’omonima “Danza macabra” di Saint-Saëns.
Le folate di vento gelido che scuotono il faro e il suo mobilio, provengono infatti dal freddo testo scandinavo di Strindberg. Una drammaturgia rigida e tagliente, dalle cui ferite sgorga linfa vitale, che grazie a Ronconi ha ripreso lentamente a scorrere.