Carlo Cecchi: Il lavoro di vivere e il mestiere dell’attore

Al Teatro Nuovo di Napoli il testo di Hanoch Levin

E’ inutile farne mistero, si sceglie di andare a vedere Il lavoro di Vivere attratti da Carlo Cecchi, uomo di Teatro ( 78 anni appena compiuti) che incarna un tempo e un modo di “recitare” e “vivere il lavoro” dell’attore che gli appassionati di Teatro non possono fare a meno di conoscere.

Si va per Cecchi e si scopre Hanoch Levin drammaturgo, poeta, regista israeliano scomparso nel ’99 celebrato in Patria, premiato all’Estero e semisconosciuto in Italia.Il merito di quest’incontro è di Andrée Ruth Shammah, regista, manager e factotum del Teatro Franco Parenti, punto di riferimento culturale milanese, lei ha diretto e prodotto lo spettacolo per la stagione 2014/2015.

Il lavoro di Vivere in scena al Teatro Nuovo di Napoli dal 25 al 29 Gennaio nasce da questi incontri per farci entrare in camera da letto e offrirci uno spaccato di vita coniugale cinico e disperato.

Si entra in sala, il sipario è aperto, sul palco assi di legno aggettanti verso il pubblico sollevano un letto matrimoniale, sul fondo finestre con persiane che fanno entrare la luce (scene Gianmaurizio Fercioni, luci di Gigi Saccomandi). Il direttore di scena entra, chiude le tende e chiama gli attori con il consueto “chi è di scena!”. Carlo Cecchi e Fulvia Carotenuto si mettono a letto.

Lui, Yona Popovich cinquantenne, stanco e annoiato della vita domestica  non ne può più di quell’ ammasso di “carcasse dentro il letto” , minaccia di abbandonare la moglie. Lei, Leviva, donna onesta e pratica, subisce le cattiverie del marito che la butta giù dal letto nel cuore della notte per vomitargli decenni di frustrazioni e fallimenti.Leviva implora una possibilità, c’è sempre tempo per cambiare, per inseguire vagheggiamenti artistici e alte ambizioni. Come cagna bastonata sopporta la violenza dei cinici s-ragionamenti di Yona finché deposta l’arma della dolcezza Leviva reagisce e svela “Io sono il pretesto , il problema sei tu”, le parti si invertono Levina si fa caustica, i suoi pensieri  sono sensati e concreti così Yona guarda negli occhi la propria miseria. Al culmine del duello giocato con raffinatezza tra le lenzuola irrompe un altro personaggio Gunkel un rompiscatole, un pover’uomo solo e disperato che ricorda ai due come sia meglio litigare come due cani piuttosto che “abbaiare da soli contro il soffitto”. Sadismo, ironia e disperazione, lui resta “per amareggiarle la vita” e finire assieme il “lavoro di vivere”.

Il drammaturgo israeliano era interessato alle battaglie quotidiane delle persone comuni, individui, coppie, aspirazioni, desideri, i fallimenti che da piccoli e domestici si fanno grandi e esistenziali.

Carlo Cecchi da corpo e voce ad individuo stanco e solo con il suo fare strascinato, falsamente pigro, estraniato, le sue parole sono musica, un lamento ipnotico, innaturale ma verissimo. Il suo modo di stare in scena ha incontrato un personaggio e un dramma che incarna magistralmente.

Con Fulvia Carotenuto, brava attrice napoletana, si va su altri registri, quasi stona per contrasto il suo naturalismo da donna fedele e ragionevole dai piccoli interessi e dagli orizzonti ristretti. Massimo Loreto, che interpreta Gunkel, entra come in sogno, irrompendo con la sua goffa fisicità, la logorrea dei suoi lamenti che svelano qualsiasi infingimento rispetto alla sua miserabile condizione. A lui il compito di infastidire e nel contempo risolvere, ci riesce. La regia è essenziale, pulita, attenta, senza fronzoli, al centro c’è il dramma, la beffa, la parola che accompagna i moti del cuore.

Il lavoro di vivere è un viaggio nei sotterranei delle relazioni, tra le verità non dette, le esagerazioni,  le miserie e le speranze, è un tiro alla fune cinico e beffardo che non ammette soluzioni se non la resa. E’ allo stesso tempo un saggio sulla messa in scena e sullo stare in scena a cui si consiglia di assistere per vivere il Teatro come esperienza completa e vitale.