
[rating=4] Lo spettacolo della compagnia catalana La Fura dels Baus (attiva dagli anni settanta) ha infiammato le oltre 1.000 persone presenti alla Mostra d’Oltremare di Napoli, spazio aperto e gigante, dove si è consumato uno degli spettacoli più attesi del Napoli Teatro Festival. Nel marasma del teatro-danza, Afrodita y el juicio de Paris è un esempio limpido di teatro e danza, dove le due discipline restano separate, legate dalla terza componente, il circo acrobatico. Ideazione, regia e coreografie visionarie sono di Pera Tantina.
L’atmosfera è elettrica, l’aria calda e appiccicosa, la frenesia viva. Nel momento in cui le luci si spengono di botto, migliaia di teste fissano verso l’alto, rivolte verso tre ballerine – appese a una gru – che danzano sospese. Inizia così questo show tribale e tecnologico, che vuole riesumare il mito del Giudizio di Paride, riletto come conflitto interiore e sfida della natura all’uomo, e dell’uomo alla natura.
Nonostante la drammaturgia confusa, che non segue un filo logico – o volutamente illogico -, il lato sensazionale e la ricerca di un linguaggio non-verbale sintetico e aggressivo ha affascinato tutti. Le tre donne sono Era, Atena e Afrodite, le dee greche del mito, che dopo il volo sbarcano su un palco vuoto, poi riempito da un trombettista che suonerà dal vivo. Il richiamo all’antichità degli abiti, una voce registrata che parla di guerra, denaro e potere, conferiscono allo spettacolo la sensazione epica del teatro delle origini, una storia già trascorsa che si ripete e nel farlo si rinnova.
Le luci (Jaime Llerins Produzione) scandiscono il tempo, spostandosi per esaltare i personaggi e gli oggetti, creando e ricreando la narrazione. Paris, Paride, come un ragno, compie la sua discesa perpendicolarmente a una parete, effetto tridimensionale, che provoca l’attimo supremo del silenzio generale, mentre le coreografie sono canti delle sirene. In un mix esplosivo di musica synth, new-age e electropunk il movimento coreografico è il buco nello stomaco che chiediamo a una performance, il salto nel vuoto che è l’arte scenica. Sensazioni amplificate da trovate pirotecniche e metafisiche, come l’involucro di plastica che vola sulla nostre teste, anch’esso manovrato da una gru, che all’improvviso si spalanca per far uscire una mano e poi un intero corpo, quella di una ragazza, rannicchiata come una bambina appena nata (i vagiti registrati lo sottolineano).
Indeciso tra cielo e terra, lo spettacolo utilizza macchine mastodontiche che si muovono fra il pubblico ed artifizi per far librare in alto un cavallo stilizzato, o una serie di uomini e donne in tuta bianca da laboratorio scientifico, simili a batteri, legati a una sfera di metallo e a una griglia. Il mondo si muove all’incontrario in Afrodita y el juicio de Paris, l’asse terrestre si sposta e i mari si agitano, con i suoi organismi che risalgono la corrente. Piume e lustrini vengono lanciati dai mostri favolistici in volo, come particelle e atomi brillanti, che ricordano come il principio e la fine giocano a rincorrersi.