Attilio Vecchiatto, tramonto di un attore e della sua arte

Attilio Vecchiatto con Claudio Morganti ed Elena Bucci - foto Ilaria Costanzo

[rating=5] I teatrini di paese portano in sé il fascino arcaico dell’arte drammatica, accompagnato da un velo di malinconico declino. Accolgono nelle sere invernali, nei loro intimi spazi, manciate di spettatori infreddoliti, che scambievolmente dispensano saluti, più o meno eloquenti e vistosi. Per piacere o convenzione, in questi teatri spersi tra le nebbie di paesi remoti, il pubblico finisce per essere il vero protagonista della serata. Così, solo quando si placano le chiacchiere e le luci si abbassano, capita di sentire una voce che bisbiglia al compagno di poltrona:”cosa danno stasera?”.

Un pubblico un po’ distratto, spettatori addormentati per dirla alla Flaiano, che vivono il loro raggio di mondanità in quel pre-teatro di un foyer arrangiato, dove le folate d’aria gelida provenienti da fuori, arrivano ad ogni aprir di porta. In questi teatri, occasionalmente, fanno approdo anche i cosiddetti “grandi” della scena, presenze imperdibili per la conforme platea. Nomi che rimarranno impressi nel tempo e nella storia del teatro. Tracce indelebili lasciate nel loro calcar la scena. Come quelle del vecchio e glorioso attore Attilio Vecchiatto, nello spettacolo al teatro di Rio Saliceto.

È vero, a molti questo nome vorrà dir poco. Anche ai cittadini di Rio Saliceto, 6258 abitanti in provincia di Reggio Emilia, che nell’unica recita dell’attore di origini veneziane assieme alla moglie Carlotta, datata 1988, disertarono (per misteriosi motivi) l’allora Teatro Montanari che la ospitava.
Il loro ritorno in patria, dopo oltre 40 anni di peregrinaggi in mezzo mondo, in quella che segnerà la loro ultima recita, sarà stranamente accolto dalle 200 sedie vuote della piccola sala emiliana, tomba artistica dell’attore Vecchiatto. Perché i teatrini di provincia, con i loro modi borghigiani possono anche ferire a morte.

Morirà pochi anni dopo, nel 1993, dimenticato anche dalla stampa italiana, che non ne riporterà nemmeno un trafiletto. Stimato da Strehler, Brook e Fo, resta per molti uno sconosciuto, per altri è come se non fosse mai esistito, eppure la sua travagliata e rocambolesca vita è pervasa da un fascino senza tempo. Un sapore che possiamo rievocare grazie alla superlativa drammaturgia di Gianni Celati che in Recita dell’attore Vecchiatto nel teatro di Rio Saliceto, si immagina e incornicia il clima surreale e decadente di quell’ultima apparizione dell’attore veneziano.

Attilio e Carlotta Vecchiatto in una foto d'epoca

Un gioiello di testo, riscoperto e proposto da Claudio Morganti durante il Contemporanea Festival ad un pubblico ridotto (appena 30 spettatori) in uno scantinato disadorno del Teatro Magnolfi di Prato, quasi a ricreare la scena che i due attori devono essersi trovata di fronte nel lontano ‘88.
Gli spettatori odierni vengono accolti da Morganti ed invitati a banchettare con uva, acqua e vino. Un qualcosa che si avvicina ad una veglia funebre, dell’attore di un tempo o del teatro di oggi?

«Noi non siamo altro che il ricordo di noi che avevamo un tempo»

Sulla scena, quella che sembrava una normale lettura, diventa di colpo candido teatro. La poesia drammaturgica si scioglie, facendo correre le emozioni fuori dal testo.

Il merito è totalmente dei due attori, che scavano nel profondo dei personaggi e tra le loro grinze segnate da illusioni, sogni e delusioni. La ricerca di Claudio Morganti ci consegna la schiettezza di un vecchio attore lisergico, disilluso e testardo, imbevuto di convinzioni e ripetizioni, che inveisce contro la società, definendo gli spettatori “annoiati di benessere” e l’Italia apostrofata come “il paese della vergogna umana”. Con calibrato ritmo e tempi comici Morganti porta più volte il sorriso tra il pubblico, guidandolo verso un’uscita di scena dal sapore poetico e amaro.
A dare voce e corpo alla moglie Carlotta troviamo Elena Bucci, in un’ottima interpretazione suddivisa tra fragilità femminile, devozione consolatoria e amore verso il vecchio marito.

«Il buio pesto nella notte dell’anima»

Uno spettacolo nostalgico e riflessivo sull’autunno della vita e su quello del mondo dell’arte, che in più momenti ricorda i due vecchi coniugi de Le Sedie di Ionesco, anche loro intenti ad accogliere un pubblico invisibile prima dell’inevitabile. Una vita sacrificata all’arte del teatro quella di Vecchiatto, che come nella più poetica delle pièce termina da dove era iniziata: in Italia.
L’attore infatti, emigrato in Sud America, dopo una carriera passata a recitare nei teatri più importanti del globo, raggiunta la fama e la senescenza, non desidera altro che tornare a casa, dove la sua rentrée invece degli applausi e delle onorificenze sperate, non trova altro che il vuoto glaciale di una nazione al tramonto culturale.

Attilio Vecchiatto con Claudio Morganti ed Elena Bucci - foto Ilaria Costanzo

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