
Silvia Gallerano è un nome che nel teatro contemporaneo rappresenta un unicum indimenticabile. Per chi abbia avuto la fortuna e mi sento di scrivere anche l’onore di aver assistito ad una delle sue performance, non può far altro che incensarla. Dopo anni trascorsi a raccogliere premi e applausi con La Merda, scritto a quattro mani con Cristian Ceresoli, torna con un nuovo lavoro che nei pochi giorni di programmazione all’Auditorium ha semplicemente fatto esplodere il teatro a suon di sold-out.
Svelarsi è stato così riproposto con nuove date a Roma al Centrale Preneste, una piccola perla fra Malatesta e Pigneto che invito a scoprire e riscoprire. Un sold-out annunciato anche qui, dove è stato liberatorio e solidale trovarsi in una platea completamente femminile. Già perché questo spettacolo si svela appunto ad un pubblico di sole donne, per motivi che io invece non “svelerò” in questa sede, nella speranza di rivedere presto questo lavoro in capitale e di attirarvi il maggior numero possibile di spettatrici.
Cosa scriverò allora in questa recensione? Voglio parlare innanzitutto della qualità scenico-recitativa di questa pièce travolgente e incredibile, dove trova spazio sì il corpo, ma soprattutto l’anima di un gruppo di artiste pronte a offrirsi alla platea nel modo più assoluto e diretto possibile. Drammaturgia e regia si ibridano nell’atto performativo, non lasciando scampo di comprensione su quanto sia scritto e quanto sia improvvisato, un minuscolo ma efficacissimo “espediente” che restituisce al teatro la sua forma più autentica.

E di forme si parla parecchio in Svelarsi, quelle anatomiche così spesso disprezzate e celate dalle donne, ogni secondo delle loro esistenze inghiottite da famelici sensi di colpa che rimbalzano agilmente fra il dato estetico e il giudizio morale. Forse è proprio questo il nucleo portante dello spettacolo, da cui poi, come in una ragnatela luminosa, si irradiano frammenti di esperienze quotidiane all’interno delle quali ogni astante è chiamata a specchiarsi. Non è una chiamata violenta, anzi, in qualche modo sul palco viene esorcizzato tutto l’esercito di paure, debolezze, ipocrisie, contraddizioni femminili che nel vissuto spesso lasciamo galleggianti poco sotto la superficie. La cosa scioccante è che su un tema così abusato e rimasticato, non lo si faccia in modo banale.
In Svelarsi invece ogni parola è snocciolata dentro un quadro d’azione semplicemente reale, che non chiede contezza e precisione, anzi ne va cercando le “storture”. Quelle reali o immaginate delle nostre vite “rosa” che quasi mai hanno nella sbiadita essenza di questa tinta una qualche traccia di verità. Si va su e giù sull’altalena delle emozioni, si partecipa, si ride, ci si commuove, soprattutto nella chiosa finale in cui la quarta parete, già abbondantemente picconata, si frantuma del tutto. Siamo insieme sul palco, idealmente o no, la storia che ci raccontano è la nostra storia, individuale e collettiva al tempo stesso ed è in questo potente nucleo di riconoscimento che Svelarsi letteralmente si regala al suo pubblico.
Straordinario pezzo di teatro e non solo, grandi interpreti, ottima scrittura e occhio registico eccellente, non posso che augurare a Svelarsi la fortuna di repliche infinite, dilaganti e senza confini, come il femmineo ancestrale più genuino, da sempre temuto, patriarcalizzato, biasimato, trattenuto, occultato e nonostante questo, o forse proprio per questo, sopravvissuto addosso agli stereotipi più sfrontato e lacerante che mai. Non leggete questa recensione con uno sguardo asettico incastrato nella logica; che sia una madre, una sorella, una zia, una collega, una cugina o come nel mio caso un’amica, fidatevi di lei e andate a vedere lo spettacolo.