Anna Cappelli, la stupefacente versione Chiocca-Prandi al Cometa Off

Quando Giada Prandi entrò nella triade con Marchesini e Paiato

Giada Prandi in "Anna Cappelli" in scena al Cometa Off dal 27 febbraio al 3 marzo 2024.
Giada Prandi in "Anna Cappelli" in scena al Cometa Off dal 27 febbraio al 3 marzo 2024.

Anna Cappelli di Annibale Ruccello è uno di quei testi assoluti. Potenza inequivocabile, materia libera di interpretazioni dalle possibili sfumature infinite e forse per questo senza tempo. Non è facile misurarsi con una drammaturgia così speciale, quasi magica. Le “Anna” che possono venir fuori sono potenzialmente inesauribili, talvolta polari, come quella della Marchesini e l’altra della Paiato. Due fra le performance attoriali migliori mai viste in scena. Questa elasticità tuttavia nasconde non poche trappole e il rischio di macchiettizzare o esacerbarne per contro la drammaticità è alto, altissimo. Anna Cappelli non la può raccontare un’attrice mediocre e questo è un fatto.

La versione offerta da Giada Prandi al Cometa Off di Roma è una di quelle che scala in classifica e “mangia”, è il caso di dire, altre colleghe dal talento più discutibile. La “sua” Anna Cappelli cullata dalla genuinità quasi infantile di una voce piena di giovinezza, è una perla rara e splendida. Anzi di più, è riuscita a regalare a una cultrice ruccelliana come la sottoscritta, una lettura del personaggio assolutamente memorabile. Cos’ha offerto in aggiunta al testo di Ruccello la Prandi, eccezionale interprete di questa figura femminile dal fascino teatrale autorigenerante? Esattamente questo, ha restituito al pubblico tutta la potenza docile e feroce di questo personaggio unico, immortale, senza addobbarlo inutilmente di manierismi, né cercandone a tutti i costi gli aspetti più ridicoli da offrire in pasto al comico.

Giada Prandi in una scena di "Anna Cappelli" per la regia di Renato Chiocca.
Giada Prandi in una scena di “Anna Cappelli” per la regia di Renato Chiocca.

Niente la metafora del cibo mi attanaglia, ma voglio usarla ancora, per insistere pure sul mancato atto fagocitante dell’attrice sul ruolo a cui dà corpo e voce. Non smania Giada  per “recitare” Anna, ma la lascia nuda e ce la racconta con estrema, duttile raffinatezza. Non è affatto un’operazione facile e solo un grande talento come quello della Prandi può mettersi agilmente a servizio di un’ombra scenica come quella di Anna Cappelli, asciugandola da ogni traccia di grottesco e “servendocela” (ahia rieccoci) con la giusta misura. Insomma voglio scriverlo, questa è la mia terza Anna Cappelli del cuore. Merito senza dubbio anche della regia di Renato Chiocca che, con le splendide scene di Massimo Palumbo, incastra dentro un cubo luminoso la Prandi-Anna, prigione dorata in cui la stessa finirà per venire risucchiata nel buco nero della tanto temuta solitudine.

Funziona tutto, le luci di Gianluca Cappelletti, i costumi di Anna Coluccia, le musiche originali di Stefano Switala che pure regala l’ottimo parallelismo con “La Bambola” di Patty Pravo (che chicca!), la regia precisissima di Chiocca. È vero si parla di una vicenda degli anni ’60, cosa che oggi può sembrare anacronistica, ma questo allestimento, a braccetto con un testo che praticamente non può invecchiare, lo rimanda in platea in quella forma vivida e attuale che oggi ascriveremmo alle “tossicità” reazionali. Sì perché in fondo il sentimento ha sempre qualche punta di veleno e questo racconto camaleontico è sempre in grado di metterci in guardia dalla possibilità di rimanerne vittima. È la carne il punto debole umano, da lì parte e ritorna ogni cosa e se fra gli archetipi della vendetta o del più estremo egoismo, da Ugolino a Lecter, passando per Tito Andronico, non trova spazio nessuna donna, è perché per l’unica, assoluta, folle Anna è piuttosto: “un atto d’amore”.