
Cappellino in testa e chitarra imbracciata. E’ così, con i suoi fedelissimi oggetti, che Gianmarco Dottori, esattamente un anno fa, si presentava sul palco di “The Voice of Italy 2″ per le famose blind audition. Non gli sono voluti virtuosismi vocali, ma è bastato il suo modo di cantare intimo, come quello di un cantautore sa essere, che dà senso e valore ad ogni parola che intona, per fare girare la poltrona di Noemi. La rossa cantante non ha avuto esitazioni nell’accogliere artista romano nel suo team, dov’è rimasto a lungo conquistandosi puntata dopo puntata un’ampia fetta del pubblico da casa. Il talent di Rai Due per il trentaduenne cantautore e musicista è stato una tappa importante, ma non di certo l’unica significativa della sua carriera. Questa e le altre esperienze Gianmarco ce le racconta molto volentieri, con grande simpatia e un’apprezzabile sincerità.
Gianmarco, quando e come ha inizio il tuo percorso nella musica?
“Ho capito di avere un talento musicale già ai tempi della scuola. Ero uno di quelli bravi, anche a orecchio riuscivo a suonare il piano, il flauto e la chitarra, senza mai aver veramente studiato. Ed ero anche intonato, mi piaceva cantare ed ero un fan dei concerti e della musica dal vivo. Così ho cominciato a suonare la chitarra ed il basso ed a scrivere canzoni di nascosto, fino a che non ho capito di voler provare a cantare qualcosa di mio. L’anno importante, della presa di coscienza, è stato il 2009, in cui mi sono accorto che non riuscivo a fare altro e, avendo il riscontro di un primo pubblico, ho cominciato a crederci”.
In tanti ti ricordano per la tua partecipazione a “The Voice”: cosa ti è rimasto di quella esperienza?
“E’ finita esattamente un anno fa, e di un’esperienza così piena emotivamente e umanamente non può che rimanere tantissimo: dai momenti trascorsi che ho ancora negli occhi all’emozione di cantare dal vivo in una diretta Rai, dal piacere di aver conosciuto Noemi, Pelù e gli altri fino al bellissimo rapporto creatosi con i ragazzi della mia edizione. Inoltre, sono diventato amico anche di alcuni dei partecipanti di quest’anno, perché in fondo abbiamo tutti lo stesso sogno, ci confrontiamo. Perciò devo dire che è stata un’esperienza bellissima, che consiglio a tutti. “The Voice” è una macchina che gira, messa in funzione da persone splendide, che riconoscono i problemi e le difficoltà di chi partecipa a questo gioco, perché altro non è”.
Concluso il programma ti aspettavi qualcosa di diverso?
“No, non mi aspettavo di più di quello che ho fatto perché ho affrontato il programma da grande, a trent’anni, e a differenza di tanti concorrenti che pensano di diventare Bruno Mars, io avevo già una credibilità e un mio bacino di pubblico. Quando ho deciso di partecipare mi sono detto che nel peggiore dei casi avrei comunque fatto qualche soldino in più con le serate. Poi, in realtà, uscito da lì ho trovato una produzione con cui collaboro e sono finito a “Domenica In”, a cui ho preso parte fino a gennaio. Dopo mi sono preso un attimo di tregua dalla tv perché ho bisogno di suonare. Io mi definisco un uomo d’azione, nel senso che, anche se mi piace stare davanti alle telecamere, amo soprattutto stare sul palco”.
Di talent musicali ce ne sono diversi: perché hai scelto “The Voice” e non “X-Factor” o “Amici”?
“Non sono mai stato fan dei talent, non nell’accezione negativa, tant’è che ne ho fatto uno. Non ho mai provato a partecipare a programmi come “X-Factor” o “Amici” per pigrizia. L’idea di essere rinchiuso per mesi in una casetta mi ha sempre spaventato. Poi “The Voice” è diverso dagli altri perché non funziona tramite provini, non c’è nessuna fila chilometrica, ma fanno scouting. La redazione lavora per mesi, contatta determinate persone che hanno già un percorso strutturato e delle esperienze pregresse. E infatti il livello è molto alto, non c’è mai l’esordiente allo sbaraglio. Io ci sono arrivato tramite una mia amica, che me lo propose invano già due anni fa. L’anno scorso mi ha convinto a presentarmi in Via Tiburtina con la mia chitarra e mi è andata bene, son durato tanto all’interno del programma, uscendo la puntata prima della semifinale. Dopo ho suonato in posti in cui prima non avrei mai potuto suonare: la tv ti dà in pochi minuti quello che non ti danno anni di concerti”.
Prima di approdare al talent di Rai 2, ti è toccato aprire il concerto di Ligabue allo stadio Olimpico. Che ricordo hai di quel momento?
“Ho avuto la fortuna di fare tante cose prima di “The Voice”, ho sempre suonato tanto, soprattutto a Roma. Prima di quello di Ligabue avevo già aperto i concerti di Luca Barbarossa, Enrico Ruggeri, Marco Masini, e fatto sold out all’Auditorium due volte. Poi, nel 2010, ho preso parte ad un concorso web voluto dallo stesso Ligabue: il brano più votato vinceva e per ogni data c’era un esordiente che avrebbe potuto suonare prima di lui. Fu una esperienza micidiale anzitutto perché ero pischello, avevo ventisei anni. Nell’affrontare una macchina così grande, con tante persone che lavorano, ti accorgi di essere una formica in qualcosa di gigantesco. Mi auguro da qua a dieci anni di poter riprovare una cosa del genere, magari in un concerto mio. Quanto a Ligabue, per me è stato una specie di padre spirituale per anni, e avere la possibilità di confrontarmi e scambiare due chiacchiere con lui ha reso il tutto ancora più bello, è stata la ciliegina sulla torta”.
Un tuo singolo è “Se Valerio Scanu vince Sanremo”, una critica alla condizione attuale del cantautore e, più ampiamente, al sistema musicale. Quali difficoltà incontra oggi chi vuole vivere di musica?
“Il vero problema è il sovraffollamento. Di difficoltà ce ne sono tante: si guadagna poco ed i bocconi amari sono molti più di quelli saporiti e dolci. Bisogna stupirsi più per i successi che per gli insuccessi. Come ha detto De Gregori, bisogna meravigliarsi se accade il sold out, il successo non deve essere la normalità per un artista. Del resto l’artista vero non lavora per un guadagno ma per un tornaconto emozionale. Io canto e scrivo perché amo cantare sul palco e amo scrivere canzoni. Motivi economici possono poi spingerti ad accettare compromessi, come fare un talent o cantare a un matrimonio. L’ideale sarebbe essere già benestanti, come molti artisti di successo di cui non ti farò il nome”.
A proposito di Sanremo, tu ci andresti?
“Non aspetto altro. Sono diversi anni che ci provo, compreso quest’anno. Ma c’è stato un piccolo problema: per loro c’era stata una sovraesposizione mediatica nei miei confronti”.
Questa sovraesposizione non sembra però valere per chi esce da “Amici”…
“In realtà il discorso è molto più ampio, ci si ritrova con sei pezzi da ascoltare su migliaia che vengono proposti. Adesso faccio io una domanda a te: Chi ricordi come giovane che negli ultimi anni ha partecipato a Sanremo e poi ha spaccato?”
Ricordo Giovanni Caccamo, che ha vinto quest’anno con un bel pezzo.
“Io sono grande amico dei Kutso, che per me avrebbero dovuto vincere. Al di là di questo, il fatto è che Sanremo non dà garanzie, molti sono tornati al punto di prima perché ci vuole il pezzo giusto al momento giusto. Talento e occasione fanno la fortuna”.
L’anno prossimo riproverai a salire sul palco dell’Ariston?
“Certo”.
Dei cantautori di ieri e di quelli di oggi chi ti piace?
“Sono romano e amo tutta la scuola romana, da Venditti a De Gregori fino a Rino Gaetano. Ho un debole per Brunori Sas e poi, pensando agli under quaranta, trovo Cesare Cremonini uno dei più bravi. A me piace la musica italiana, faccio attenzione a ciò che viene detto e come viene detto, e quando trovo la credibilità di un artista mi innamoro”.
Ora stai lavorando al tuo primo disco di inediti: cosa puoi dirci?
“Volevo farlo uscire prima, ma nel mentre si è sviluppato un altro progetto: sto partecipando a Musicultura, il più importante concorso per cantautori italiani, vinto negli anni da Povia, Cristicchi, Mannarino. E’ un concorso di grande visibilità, che dà la possibilità di suonare in location meravigliose. Il pezzo che ho presentato è piaciuto ed ora sono in finale, mi sono preso questa grande soddisfazione. Tra l’altro, in finale con me c’è una ragazza di “The Voice” di quest’anno, Chiara dello Iacovo, concorrente nel team di Facchinetti, e mi piacerebbe che guardando me e lei si pensasse che oltre al bel visino visto in tv c’è dell’altro, c’è profondità”.
Quindi il disco uscirà dopo Musicultura?
“Faremo anzitutto uscire il singolo (“Dannata Felicità”, ndr). Il problema sono le condizioni necessarie per fare uscire un disco, non i pezzi, di cui ne ho tantissimi. Il supporto di una major o un’etichetta che possa investire può fare la differenza. Comunque entro quest’anno uscirà”.
Una curiosità: il cappellino che porti sempre è un portafortuna? Ci puoi dire qualcosa in più?
“È una specie di coperta di Linus. Ma io non vivo con il cappellino, ci suono e basta, ho anche i capelli sotto! Lo rubai al mio chitarrista di un vecchissimo gruppo e da allora, in ogni esibizione, l’ho sempre messo. Sono molto scaramantico e il cappellino porta bene. Inoltre, è diventato un segno di riconoscibilità”.
Dove ti potremo ascoltare prossimamente?
Il 5 giugno sarò ospite di una manifestazione di una onlus all’Auditorim della Conciliazione, una serata con Fiorello e Geppy Cucciari. Il 9, invece, c’è un concerto mio all’Auditorium Parco della Musica. Un’altra data a giugno è quella a Taranto, del 22, mentre a luglio sarò il 4 al Forum Festival di Roma, l’8 a Civitavecchia, il 18 di nuovo in Puglia. Il calendario è in continuo aggiornamento e sicuramente si aggiungeranno altre date”.