
[rating=5] Uno spettacolo trionfale quello in scena queste settimane al Teatro alla Scala. Lo storico e tradizionalissimo Barbiere di Siviglia di Jean-Pierre Ponnelle fa incetta di applausi ad ogni recita e i due navigatissimi anfitrioni Nucci e Raimondi sono le due indiscusse stelle del cast.
L’opera è stata programmata in effetti per due cantanti, ormai a fine carriera, che si esibiscono con gli allievi solisti dell’Accademia scaligera già impegnati, a diverso titolo, durante tutto il cartellone di questa stagione. Il connubio tra generazioni risulta vincente e sorprendente.
L’opera è un capolavoro buffo di Gioacchino Rossini, composto nel 1816 per il Teatro Argentina di Roma, e sebbene la prima fu un fiasco nettissimo, ben presto il Barbiere di Siviglia rossiniano sostituì del tutto l’omonima opera del Paisiello, che veniva rappresentata in tutta Europa fin dalla prima del 1782 di San Pietroburgo. Oggigiorno è tra le opere in assoluto più rappresentate al mondo.
La musica frizzante, il libretto audace, il colore che caratterizza situazioni e personaggi con stupefacente realismo e con una vis comica ancora attuale, l’uso frequente di autocitazioni e citazioni e il ruolo importantissimo della recitazione e della gestualità, rendono il Barbiere un’opera senza dubbio intramontabile e universale.
Il soggetto è lo stesso del Paisiello (la cui cavatina di Almaviva compare nella colonna sonora del celebre film Barry Lindon) ed è tratto dalla “trilogia di Figaro” di Beaumarchais, da cui Mozart aveva composto Le nozze di Figaro. Il libretto di Cesare Sterbini rispetta la trama e lo svolgimento delle azioni, ponendo l’accento sulle situazioni comiche e farsesche più che sulla denuncia sociale e sulla satira politica care al letterato francese. Il tema amoroso, che è al centro dell’opera di Paisiello, è alquanto secondario.
Il susseguirsi di situazioni imbarazzanti e paradossali e di espedienti ridicoli e assurdi travolge i personaggi e le loro azioni. L’opera buffa, genere italiano per eccellenza, trova qui uno dei massimi compimenti: l’ironia è costantemente sottolineata dalla musica, guizzante e rapida, versatile e agile, nonché dal canto virtuosistico, spesso simultaneo, falsettato o sillabato e dall’uso frequente di recitativi. La presenza poi di veri e propri personaggi da commedia dell’arte inserisce il genere in una più ampia e lunga tradizione artistica.
La direzione del maestro Massimo Zanetti attualizza ulteriormente la verve comica sottolineando i passaggi musicali più “ironici” e, soprattutto, introducendo elementi del tutto interpolati negli accompagnamenti ai recitativi, con le citazioni più disparate, da Rossini stesso a musiche precedenti e posteriori. Una scelta musicalmente discutibile, ma teatralmente riuscita. In generale Zanetti è un direttore piuttosto schematico, e forse per questo adatto al genere buffo.
Davvero brava l’orchestra dei giovani maestri dell’Accademia del Teatro alla Scala, ottimi strumentisti e affiatati orchestrali. Un’esecuzione degna dei migliori teatri, nonostante qualche piccolissima sbavatura.
La regia di Ponnelle è la stessa identica del 1972, celeberrima in tutto il mondo, aderente ad orologeria, in tutto e per tutto, a libretto e musica. Insieme realistica e grottesca, riesce a divertire, stupire e commuovere a distanza di tanti decenni con i suoi dettagli scenici studiatissimi e affascinanti nella loro ingegnosa semplicità. Una lezione di stile e di modernità per tanti nuovisti dell’ultima ora.
Ottimo il cast, con artisti già altre volte apprezzati.
Leo Nucci, nella parte di Figaro, si è esibito in un trionfale bis nella famosa cavatina Largo al factotum, fatto rarissimo alla Scala, teatro avvezzo all’interruzione per applausi o fischi, ma non per le ripetizioni. Un baritono versatilissimo, espressivo e perfettamente a suo agio nella mimica e gestualità teatrali: un cantante straordinario e un attore esperto. Una voce, a giudizio di chi scrive, più adatta ai suoi cavalli di battaglia verdiani e pucciniani che nei ruoli rossiniani, ampiamente compensata però da una maestria tecnica senza eguali. La sua esibizione, benché gravata dal peso dell’età, ha guadagnato il plauso pieno e convinto di tutta la sala.
Tripudio di pubblico anche per Ruggero Raimondi, Don Basilio, applauditissimo sin dall’aria La calunnia è un venticello. Cantante che domina con naturalezza i registri di basso e di baritono, in grado di esibirsi a proprio pieno agio in ruoli diversissimi, è un eccellente Don Basilio. Voce espressiva e recitazione magistrale, il tutto con cura raffinata ed elegante: un artista d’altri tempi.
Eccellenti gli interpreti dell’Accademia. Nei ruoli secondari si sono esibiti con pieno successo il basso Petro Ostapenko, ufficiale di polizia, la soprano Fatma Said, l’anziana serva Berta, e il basso Kwanghyun Kim, il servo Fiorello. Bravo l’attore Michele Nani nel ruolo del servo Ambrogio, costante presenza muta sulla scena.
Il triangolo amoroso Conte Almaviva – Rosina – Don Bartolo si è rivelato fenomenale.
Molto bene il chiarissimo tenore Edoardo Milletti, esordiente nell’interpretazione di un ruolo primario, forse un po’ impettito sulla scena ma ottimo nella tecnica, nell’espressione e nella voce. Grandi potenzialità per questo giovane cantante. Forse un po’ carente nella dizione, ma ottima sotto ogni altro profilo, la contralto Lilly Jorstad, nella parte di Rosina. Applauditissima e apprezzatissima da tutto il pubblico. Ottimo il basso buffo Giovanni Romeo, Don Bartolo, impegnato in brani affatto semplici. Davvero un espressivo ed eccellente attore, oltre che un virtuoso non indifferente.
Impeccabili gli interventi del coro, vocalmente ineccepibile e forse solo un poco raffazzonato nella recitazione.
Lo spettacolo, che in pieno agosto è particolarmente vissuto dai turisti stranieri, riscuote senza il minimo dubbio un gradimento finora ineguagliato dalle altre opere di questa stagione. Il segnale che la convivenza tra tradizione e innovazione, quando è ben studiata e congeniata, riscuote successo ben più che le esagerazioni in entrambi i sensi cui ci sembra di assistere sempre più spesso.