
[rating=2] Un’opera che copre tutto lo spettro delle umane passioni, dei desideri e dei timori, un’opera intensa ed emozionante ben oltre le intenzioni del suo compositore, Georges Bizet: così è la Carmen, celebrata ed eseguita in tutto il mondo.
Potrebbe sembrare all’apparenza un’opera sempre uguale a se stessa, in cui basta la musica a ricordarci ad ogni esecuzione l’universale e intramontabile attualità della storia d’amore e morte di Carmen. In realtà però è nelle pieghe dei dialoghi, delle frasi musicali, che si cela il dramma della sigaraia di Siviglia.
L’allestimento in scena al Teatro alla Scala di Milano è quello della regista Emma Dante del 2009. La regia della Dante suscitò già a suo tempo rumorose polemiche, e non a caso. In Carmen vi sono pochissimi cambi di scena, ma molti personaggi, compreso il coro, entrano ed escono continuamente dalla scena. Inoltre, il libretto di H. Meilhac e L. Halévy, molto condizionato dallo stesso Georges Bizet, prevede precise indicazioni di luogo e d’azione. Un’impresa registica di non poco conto, con cui è difficile cimentarsi. Emma Dante compie una scelta clamorosa: seppure non scelga la via dell’astrattezza, tuttavia manipola profondamente e tenta di attualizzare la messinscena. Il risultato è pregevole nell’intenzione, a tratti grottesco nella realizzazione.
La trama è celebre. La sigaraia e zingara Carmen, accusata di aggressione ai danni di una collega, viene tratta in arresto ma, seducendolo e ammaliandolo, corrompe il carceriere e brigadiere Don José, promesso sposo della cara Micaela, condannandolo al carcere. Uscito da galera José ritrova Carmen a Siviglia, in un’osteria frequentata da contrabbandieri. Qui si scontra col suo ufficiale, anch’egli innamorato di Carmen, ed è costretto a lasciare l’esercito. La zingara, dal canto suo, rifiuta le avances del torero Escamillo e tenta, invano, di sottrarsi ad un’azione criminosa in cui viene coinvolta insieme alle sue amiche Frasquita e Mercedes. Presso il covo dei briganti, mentre si stanno attuando i preparativi della scorreria, Carmen litiga bruscamente con Don José e insieme alle amiche legge nelle carte il proprio destino di morte. Giungono sia Micaela sia Escamillo, la prima per cercare di portare José alla normalità, invano. Il secondo per ritentare la storia amorosa con Carmen, riuscendo nell’impresa. L’indomani, alla corrida, mentre Escamillo trionfa sull’ennesimo toro, Carmen affronta l’implacabile desiderio di Don José, che non ne accetta la vita libera ed emancipata. La zingara lo ripudia rivendicando la propria coerenza ed egli, nell’impeto della follia, la uccide a sangue freddo e si consegna alle guardie.
La musica è ancor più famosa. Le sonorità dell’ouverture, delle arie e degli intermezzi riescono ad essere straordinariamente evocative, non solo della suggestiva ambientazione mediterranea, colorita di fraseggi popolareschi e spagnoleggianti, ma anche delle vicende che raccontano e che dipingono. Una musica vivace e frizzante, interrotta solamente dai frequenti dialoghi, in un susseguirsi di brani ancora oggi impressi nel repertorio del grande pubblico.
Parole e suoni s’intrecciano in un capolavoro indiscusso, il cui effetto empatico ed estetico dipende organicamente dalla realizzazione concreta.
Ed è per questo che l’eccesso di elementi narrativi nella regia non giova alla Dante. La più grave tara è rappresentata dall’aggiunta gratuita di personaggi. Alla prima scena passino i pargoli in spalla ai soldati, ma che senso hanno il curato, con seguito di supplici e chierichetti, che segue costantemente Micaela dal primo all’ultimo atto, e le maschere bianche, in indefesso corteo dietro al toreador Escamillo? Perché i costumi sono tanto precisi e puntuali fuorché nelle sigaraie, vestite da monache, nei soldati, tirati a lucido, e nei brigati camuffati da cespugli? Che senso ha la gestualità animalesca e brutale di Carmen, che le parole e la musica di Bizet tratteggerebbero al contrario con sensualità e incanto?
Emma Dante ce lo spiega nelle sue “note di regia” pubblicate dal Teatro alla Scala, ma le risposte ci paiono troppo strumentali a difendere apologeticamente l’allestimento, piuttosto che a spiegarlo e svilupparlo. Il risultato complessivo tiene, ma le perplessità restano tutte, in una regia che distrae da una storia tanto realistica.
Pertinenti e apprezzabili i costumi, le luci e soprattutto le scenografie di R. Peduzzi. Il contesto ricreato è quello di un qualsiasi centro romanico mediterraneo, italiano più che spagnolo (del resto la stessa regista è palermitana), con luci soffuse e quasi naturali e gli ambienti solo all’apparenza chiusi. Una via di fuga esiste sempre, ma resta costantemente sgombra: ogni personaggio, persino quelli più secondari, deve affrontare il suo destino.
Altalenante la prestazione del cast. Ottimi i personaggi secondari, sempre in piena voce, drammatici e teatrali, dalle gestualità sicure e dal piglio vivace. Squillanti e simpatici i due contrabbandieri Michal Partyka e Fabrizio Paesano nei ruoli, rispettivamente, di Dancaïre e Remendado; ugualmente notevoli le due zingarelle Mercedes, Sofia Mchedlishvili, e Frasquita, Hanna Hipp, le cui voci così limpide hanno incantato il pubblico.
Bravo il basso Gabriele Sagona, nei panni del tenente Zuniga, che ha cantato con particolare briosità, nonostante non si sia distinto nella recitazione. Bravo anche il baritono Vito Priante, il toreador Escamillo, che ha interpretato il suo ruolo in maniera affatto secondaria, deliziando con una voce calorosa e con una recitazione appassionata. Peccato per i frequenti errori di dizione, a volte davvero grossolani e imperdonabili.
Affatto all’altezza invece il protagonista Don José, il tenore José Cura, che oltre ad essere stato impreciso nella dizione non ha fornito una prova esaltante delle sue capacità. I fischi alla Prova Generale e alla Prima non erano diretti tanto alla tecnica, comunque elevata, quanto piuttosto alla mancanza disarmante di verve teatrale e alla continua tentazione di risparmiare la voce: un Don José intonato ma scialbo, più aderente ad uno zimbello qualsiasi che al tormentato e tumultuoso amante di Carmen.
Davvero ottime invece le due donne del quadrangolo amoroso: Elena Mosuc, Micaela, e Elina Garanča, Carmen.
La Mosuc si è rivelata artista di primissimo ordine, imprimendo al suo ruolo, tradizionalmente defilato, un tono decisamente protagonista. Voce piena, morbida e precisa: una controfigura impegnativa per Don José e per Carmen. Gli applausi del pubblico sono stati molti e animati.
Straordinario plauso di pubblico anche per la Garanča, una Carmen bionda con gli occhi azzurri, decisamente poco zingara e tantomeno spagnola. Ha cantato con estrema drammaticità, sfruttando una voce dalle potenzialità enormi ed esprimendo appieno tutti i colori del registro mezzosoprano. Sul palco si è comportata da brava attrice, esibendosi addirittura in più danze (un po’ impacciata per la verità), benché la Dante le abbia risparmiato le nacchere della famosa scena nella taverna di Lillas Pastia. Una cantante espressiva e squillante, capace di giostrarsi tra la recitazione, le arie vivaci e i brani più cupi e tenebrosi con fenomenale maestria.
Bravi i cantanti del coro del Teatro alla Scala, diretti dal maestro B. Casoni, precisi nella dizione e versatili nei ruoli che devono ricoprire, dalla brigata militare alla folla paesana, dallo stuolo di contrabbandieri alla piazza festante. Molto bravi anche i ragazzini delle voci bianche, impegnati nel canto e nella recitazione con straordinaria destrezza.
Ha lasciato alcuni spettatori perplessi invece la performance del direttore Massimo Zanetti, maestro forse più incline alle liriche verdiane e pucciniane che all’estro di Carmen. In realtà la sua direzione s’inserisce in una tradizione consolidata, che nulla toglie al capolavoro di Bizet e che, al contrario, ben valorizza le azioni e le parole dei personaggi. La scelta di mantenere i dialoghi recitati, con qualche piccolissimo taglio, rispetta le intenzioni originarie e valorizza certamente il portato fortemente melodrammatico dei testi di Carmen.
Lo spettacolo nel suo complesso risulta maestoso e piacevole, per quanto possa esserlo la storia passionale e libertaria di Carmen, con il suo valore catartico e universale che la caratterizza: una storia di amore per la libertà e di libertà nell’amore, spenta dalla morte e dall’incomprensione di un amante accecato dalla morale dominante