
Siamo alla vera apertura di stagione per il Teatro Filarmonico di Verona con Otello di Giuseppe Verdi. Le attese son altissime, il pubblico gremisce il teatro in ogni angolo e la tensione aumenta aspettando l’inizio.
Titolo quanto mai impegnativo di Giuseppe Verdi cui la Fondazione Arena di Verona, sia nella sua versione estiva che invernale, ha sempre rivolto grande attenzione ed a partire dal 1936 ha schierato quanto di meglio potesse offrire l’intero universo lirico del momento. Gli interpreti di questa prima raccolgono da terra il testimone che fu dei vari Tagliabue, Del Monaco, Tebaldi, Vinay, Taddei, Gobbi, Capuccilli, e ancora Domingo, Bruson, Ricciarelli, Chiara e Dessì per venire ad anni più recenti. Dato che odio fare i confronti non inizio a farli ora, ogni artista ha una propria identità autonoma e come tale va rispettato, ma succedere a tanta tradizione diventa lavoro “sporco” per chiunque ed è roba da far tremare non solo i polsi a chi accetta la sfida.
Iniziativa difficile quindi, che sicuramente è da premiare per il coraggio e che il pubblico ha giustamente festeggiato con lunghi applausi. Trovare ad oggi un interprete adeguato per tutti e tre i ruoli principali, ed in modo particolare per il protagonista, diventa impresa assai ardua.
Quindi, come sono andate le cose a Verona? Benino, ma andiamo con ordine.

Innanzitutto la direzione. Forse il vero protagonista di questa produzione è stato proprio il maestro Antonio Fogliani, la sua orchestra suona decisamente bene, è nitida. Un suono pieno e rotondo coinvolge l’ascoltatore in una esperienza ricca di sensazioni: tutti gli stati psicologici della scena sono sottolineati con sensibilità, cercando e trovando una grande varietà di colori orchestrali. Buona l’intesa con la scena con un ottimo risultato nell’insieme.
L’orchestra ed il coro (istruito da Vito Lombardi) dell’Arena di Verona hanno risposto molto bene alle richieste del maestro, i cui intenti sono accolti e valorizzati al meglio.
In scena gli occhi, e le orecchie, sono primariamente puntati sul protagonista, come sempre ogni volta che si presenta Otello, qui incarnato da Kristinan Benedikt. Il tenore è di grande esperienza: ha interpretato oltre cento volte il ruolo del moro di Venezia ed ha al suo attivo un repertorio piuttosto vasto. L’ingresso in scena è dei migliori con un “Esultate” di grande impatto: il volume è pieno e gli acuti sicuri, poi però lì ci si ferma. Vero che se cantare Otello è difficile, difficilissimo è esserlo. I mezzi di Benedikt sono importanti e di primo acchito colpisce molto il timbro virile e scolpito di questo moro che, salvo qualche acuto non proprio squillante, non si più dire che canti male e alle somme non risulti una prova efficace. Quello che purtroppo non mi ha convinto è la totale assenza di duttilità vocale, di colori, di smorzature che la parte esige. Benedikt sfoggia un canto sempre tesissimo, sempre espresso tra il mezzo forte ed il fortissimo che non lo aiuta a creare un personaggio autentico. L’interprete risulta statico in un perenne e monocorde machismo che nemmeno si scalfisce nel “Dio mi potevi scagliar”, davvero ci si chiede perché mai Desdemona si sia innamorata di un uomo del genere. “Ecco il leon!” ma dove trovare in questa interpretazione la sua nobiltà, dove il suo fascino? Ed è un peccato, perché alcuni momenti restano impressi nella memoria per giorni, uno su tutti le parole conclusive del duetto con Desdemona del terzo atto che però avrebbero davvero avuto ancora più senso drammatico se si fosse attenuto a tutte le sfumature che libretto e partitura prescrivono subito prima. Prova risolta quasi a metà quindi: si spera che maturando l’interprete si avrà modo in futuro di ascoltare un Otello eccellente.
Vero protagonista dell’opera verdiana è però Jago.. Vladimir Stoyanov, baritono bulgaro tra le eccellenze del panorama lirico di questo momento ha dato un’ottima prova vocale in questo ruolo. La voce è molto bella e lui canta assai bene. Ogni nota è perfettamente calibrata e ben emessa con la conseguente facilità di emettere una grande varietà di colori. Stoyanov propone una personale visione di Jago staccandosi di parecchio dalla tradizione interpretativa, ma pecca troppo in sottrazione. Purtroppo accanto ad un Otello così “prepotente” la sua figura, sempre nobile nell’accento, resta schiacciata, forse troppo cortese, e del “feroce accanimento distruttivo di Jago” invocato nelle note di regia di Micheli sul programma di sala, resta veramente poco. .
Desdemona è il soprano Monica Zanettin. Il timbro molto particolare e brunito nei centri conferisce a questa figura un carattere nuovo e molto forte; Desdemona vince, vince su tutti. La voce non sempre è centrata e rischia tal volta di essere coperta dall’orchestra specie nella zona acuta dove la voce tende ad andare “indietro” perdendo quindi di squillo e facendo intuire una leggera “scollatura” quanto ad omogeneità nella gamma. Tuttavia si parla di una ottima prova vocale ed ancor più scenicamente. L’interprete infatti è sensibile e la voce ne segue duttilmente le intenzioni.
Quanto al resto del cast, il livello è molto alto a partire da Cassio di Mert Süngü, ottimo sia vocalmente che scenicamente. RODRIGO era Francesco Pittari, LUDOVICO Romano Dal Zovo e MONTANO Nicolò Ceriani UN ARALDO Giovanni Bellavia. Molto bene anche l’EMILIA di Alessia Nadin.
Per la parte visiva dello spettacolo si è assistito alla ripresa della regia di Francesco Micheli, andata in scena alla Fenice nel 2012. Sicuramente uno spettacolo di grande fascino e dai molteplici piani di lettura: proprio questi sono i “talloni d’Achille” che rendono tutto un po’ zoppicante. Lo spettacolo è davvero ricco di idee bellissime, ma queste sono troppe e non tutte sono approfondite allo stesso modo. Francesco Micheli è sicuramente un regista ottimo e tra i più interessanti di oggi: ma questo Otello non posso dire sia il suo lavoro migliore vista anche la maturità mostrata nelle ultime produzioni. Risulta uno spettacolo “barocco” che stupisce lo sguardo del pubblico non annoiandolo mai regalando anche momenti suggestivi, ma tradisce se stesso in più punti utilizzando troppi codici visivi distanti tra loro. Ottime le scene ideate di Edoardo Sanchi e funzionali i costumi di Silvia Aymonino.
Alla fine la sala colma al massimo ha decretato un plauso al merito a tutti gli artisti.