
[rating=4] Il progetto OPER.A 20.21 ideato da Matthias Lošek, direttore artistico della Fondazione Haydn di Bolzano e Trento, segna una decisa svolta nei cartelloni lirici del Trentino-Alto Adige che, da questa stagione in poi, presenteranno una serie di titoli concepiti tra Novecento e primi anni duemila, con alcune nuove commissioni.
Ultima proposta operistica, prima della pausa in attesa della prossima programmazione, è Nos di Dmitrij Šostakovič, autore anche del libretto assieme a Evgenij Zamjatin, Georgi Ionin e Alexandr Preis. Il testo trae ispirazione dall’omonima novella di Nikolai Gogol’, con suggestioni attinte da altri suoi lavori. La miscelazione di più fonti, attuata dal regista Mejerchol’d, viene adottata dal compositore tanto per valorizzare il trattamento musicale dell’azione teatrale, quanto per esacerbare la concezione meccanico-automatica dei personaggi.
La critica della società in epoca zarista (Gogol’ ambienta il suo racconto durante il governo di Nicola I) trova in Šostakovič un divulgatore capace di puntare l’indice contro la sovietizzazione dilagante al termine degli anni venti del XX secolo. La grottesca ironia caratterizzante i soggetti, delineati con fredda causticità, si scontra con l’urgenza del regime comunista di indirizzare le arti verso un granitico conservatorismo. Il linguaggio šostakovičiano, capace di cogliere le pruriginose allusioni sessuali della tematica, muove la narrazione con rapidità tale da indurre la sperimentazione di innovative modalità compositive. La coproduzione giunta a Trento, organizzata in collaborazione con Neue Oper Wien e CAFe Budapest Festival, Müpa Budapest, risolve felicemente le temibili difficoltà tecniche e il copioso numero di personaggi richiesti dal libretto.
Il regista Matthias Oldag cura l’intensità espressiva degli artisti valorizzando gli elementi grotteschi, rappresentativi della corruzione sociale. L’accentuazione della gestualità mira a definire le brutture umane mascherate dall’ipocrisia diffusa. Le scene incombenti di Frank Fellmann, curatore anche degli eloquenti costumi, immaginano un’ambientazione alienante e claustrofobica che valorizza l’idea registica attraverso il valore simbolico, funzionale a qualsiasi epoca storica. Le luci di Norbert Chmel illuminano lo spazio con valida efficacia.
La prestazione del Wiener Kammerchor, preparato da Michael Grohotolsky, è eccellente per precisione, coesione e rigore nell’affrontare gli insidiosissimi interventi. L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento pare trovare nella partitura di Šostakovič, coacervo di stili volti all’eclettico sperimentalismo, gli spunti ideali per sfoggiare la propria preparazione tecnica e lo spirito esecutivo effervescente, il tutto sotto la guida attenta di Walter Kobéra.
Sugli scudi Marco Di Sapia nei panni protagonistici di Kovalëv. Il baritono tratteggia con verve l’assessore in piena crisi identitaria per la perdita del naso. Un plauso alla sua rigorosa capacità d’approfondimento e alla maturazione della parte. Di pari bravura Igor Bakan, nelle doppie vesti del barbiere Jakovlevič e del viaggiatore Ivanovič. L’esibizione, mossa da intense motivazioni espressive, accosta con grande efficacia lo straniamento e il vuoto di un’esistenza trascorsa a tagliare barba e capelli altrui. L’estensione considerevole e la tessitura disagevole non sminuiscono le prove dei tenori Lorin Wey, suggestivo Ivàn, e Pablo Cameselle, sarcastico Commissario di polizia. Pur con qualche limite, Alexander Kaimbacher risolve positivamente il ruolo di Naso, specie dal punto di vista scenico, con il difficile compito di muoversi gestendo le ingombranti fattezze d’organo olfattivo. Incisivi e valenti anche i restanti interpreti: Tamara Gallo nelle vesti di Pelagia Podtočina, Ethel Merhaut in quelle di sua figlia, Megan Kahts come isterica Praskov’ja Osipovna e commessa, Georg Klimbacher impegnato a rendere il funzionario della redazione e il dottore e Francis Tójar nei panni di mendicante e cocchiere. Il pregevole operato culturale della fondazione Haydn è purtroppo ripagato da un teatro ingiustamente semivuoto.